Fiat iustitia

La sentenza della Corte costituzionale relativa alle pensioni non è piaciuta al governo, e questo è anche comprensibile. O meglio sarebbe se il governo si fosse limitato a dire che non ha soldi e che la soluzione non potrà essere né semplice né immediata. Ad impossibilia nemo tenetur. Suscita invece un certo disagio il fatto che, come ormai va di moda, il caso abbia sollevato una volta di più la diatriba sulla divisione dei poteri e, in definitiva, ravvivato il dialogo sui massimi sistemi. La Corte, ohibò, quando prende una decisione che incide sull’attività del governo, dovrebbe tenere conto delle conseguenze politiche e consultarsi con lui. Tutto questo condito dalle solite polemiche contro l’invadenza della magistratura, il cosiddetto “governo dei magistrati” etc. etc.

I vecchi milanesi, nel loro dialetto ormai dimenticato, avevano un detto, offellee fa el to mestee, che, ovviamente, non si riferiva solo ai pasticcieri, e del resto non erano i soli a pensarla così. Fuor di  metafora, il detto più aulico fiat iustitia, pereat mundus non diceva poi una cosa tanto diversa, con un riferimento più diretto alla magistratura. Nel suo romanzo storico Süss l’ebreo, ambientato nel Wurttemberg del XVIII secolo, Lion Feuchtwanger menziona il caso di un mascalzone che, nella città di Esslingen, uccide una povera ragazza e poi ne getta il corpo nel cortile di un ebreo. Dominata dai pregiudizi antiebraici, la popolazione non ha dubbi sulla colpevolezza dell’ebreo, e il processo finirebbe sicuramente con la sua condanna. Qualcuno, però, solleva dubbi sulla competenza territoriale e la corte di Vienna chiama un insigne giurista a decidere se il processo si debba svolgere a Esslingen o a Stoccarda, dove, in un clima più sereno, l’imputato sarebbe probabilmente assolto. Il giurista viene sottoposto a fortissime pressioni. Gli si dice che l’eventuale sottrazione della competenza al tribunale locale provocherebbe violente proteste degli antisemiti, che ci sarebbero scontri per le strade persino a Vienna, e così via. Il giurista risponde di non avere particolare simpatia per gli ebrei e che fronteggiare eventuali disordini è compito della polizia e non suo. «Il mio compito è stabilire di chi sia la competenza, e su questo non ho dubbi: il processo si deve fare a Stoccarda». Il romanzo è del 1925; l’Autore, sotto il nazismo (che fra l’altro deformò il suo lavoro in un ignobile film di propaganda antisemita) lasciò la Germania.

A che servono questi riferimenti? A riflettere sul fatto che una questione di soldi si sta trasformando nel solito attacco allo stato di diritto delineato da Montesquieu, che la Rivoluzione francese cercò di realizzare (almeno nella sua fase iniziale) e che Napoleone distrusse in nome (allora come oggi) dell’efficienza, della quale per altro non dette poi grande prova, a giudicare dai risultati. (a.g.)

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