Una spinta nazionalista

di Dominique Vidal

Articolo scritto nel maggio 2019 subito dopo le elezioni politiche europee e pubblicato sull’anteprima di novembre 2019.
Note a cura del traduttore dal francese.

Nel marzo scorso ho diretto un libro collettivo intitolato “I nazionalisti all’assalto dell’Europa[1] (Demopolis, Parigi). Di fatto, la spinta nazionalista che era stata già registrata in occasione delle elezioni europee del 2014 si è amplificata con quelle del 2019. La composizione – provvisoria – dei gruppi del Parlamento europeo lo conferma: i deputati nazionalisti, sovranisti e di estrema destra sono passati da 155 a 175 deputati. Vi si aggiungono quelli dell’ANO ceco[2], che appartengono a un altro gruppo politico all’interno del Parlamento europeo. Globalmente, in cinque anni, queste forze hanno progredito in 16 Stati e sono diminuite in 6.

Si deve tuttavia relativizzare il riflusso in questione. Esso include, per esempio, il risultato del RN, inferiore solo dell’1,5% a quello del FN nel 2014[3] (anche se è riuscito a conquistare 500 000 voti in più). L’FPÖ[4] ha perso il 2,5% a seguito dello scandalo del video di Heinz-Christian Strache, detto «Ibizagate». Per quanto riguarda il Fidesz et il Jobbik ungheresi[5], hanno, sì, ottenuto il 7,4% di punti in meno, ma sono comunque al 58,7%!

Gli avanzamenti sono spesso molto più spettacolari: ed è cosi che in Italia la Lega passa dal 6,15% al 34,33%. In Polonia, il PiS cresce dal 32,13% al 45,38%[6]. In Slovacchia, il LSNS[7] salta dal 1,73% al 12,07%… In totale, queste forze superano il 10% in 15 Stati, il 20% in 6 Stati, il 30% in quattro, il 40% in due e il 50% in uno Stato.

Questa nuova spinta non permette sicuramente alle queste forze di controllare il Parlamento europeo (PE). Ma il loro successo, accumulato con i fallimenti della destra tradizionale e dei socio-democratici, fa entrare il nuovo Parlamento nell’era delle alleanze occasionali nella quale i deputati nazionalisti, populisti e di estrema destra cercheranno con tutte le loro forze di costringere il Partito popolare europeo (PPE) ad allearsi con loro.

E lo faranno anche meglio quando riusciranno a unirsi. È il sogno di Marine Le Pen e di Matteo Salvini, come abbiamo visto a Milano il 18 maggio. Tuttavia le divergenze osteggiano questa aggregazione. Senza parlare dello scontro degli ego.

Con o senza questa unificazione, i rischi sono una scalata antisociale senza precedenti, un arretramento di tutte le questioni riguardanti la società (dal diritto all’aborto al “matrimonio per tutti”), una rimessa in causa delle libertà fondamentali, una chiusura delle frontiere ai migranti e una istituzionalizzazione della xenofobia. Insomma una Europa allineata ai vari Trump, Netanyahu, Putin e agli altri Bolsonaro.


[1] Dominique Vidal (dir.), Les nationalistes à l’assaut de l’Europe, Demopolis, Parigi, 2019 

[2] Il partito politico ceco ANO (Azione dei Cittadini Insoddisfatti) è tradotto in Italia con il nome di “Sì 2011” 

[3] Rassemblement National (RN) è il nome che ha assunto il partito francese guidato da Marine Le Pen nel 2018, precedentemente conosciuto come Front National (FN).

[4] FPÖ è la sigla del Partito della Libertà Austriaco

[5] Unione Civica Ungherese (Fidesz) è il nome del partito del presidente ungherese Viktor Orbán; il Jobbik (in ungherese Jobbik Magyarországért Mozgalom) è il Movimento per un’Ungheria Migliore. Entrambi i partiti appartengono alla destra ungherese. 

[6] Il partito Diritto e Giustizia (in polacco Prawo i Sprawiedliwość, abbreviato PiS) è un partito della destra polacca. 

[7] Il Partito Popolare Slovacchia Nostra (in slovacco L’udová strana Naše Slovensko, abbreviato in L’SNS) è un partito politico di estrema destra.

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