Ah, quant’è bello morire d’accisa!

C’è una vecchia storiella a proposito di un tale che, convocato al commissariato in seguito a denuncia di sfruttamento della prostituzione nella persona della moglie, non negò il fatto ma addusse a propria giustificazione che, dopo aver constatato l’irrefrenabile tendenza della signora a non rispettare l’obbligo di fedeltà coniugale, aveva concluso che almeno lo facesse per la famiglia. Sì, lo so, ce ne sono di migliori. Io, però, a differenza di un ex presidente del consiglio, non racconto le barzellette che fanno ridere ma quelle che fanno meditare. Nella fattispecie, questa storiella mi viene in mente ogni volta che sento parlare di imposizione a carico di attività ritenute, a torto o a ragione, nocive alla salute o al buon costume. Oggi tocca al consumo di bevande zuccherate. Personalmente non ne berrei nemmeno nel deserto, però mi sembra che, se fosse vero che fanno male, la risposta appropriata sembrerebbe quella di proibirne la fabbricazione e il consumo, come fece il governo americano con l’alcool negli anni ’20 (con scarso successo, è vero, ma almeno ci provò). Demonizzarle e cercare di lucrarci sopra mi sembra un po’ contraddittorio con l’impegno morale dichiarato.
In realtà, da che esistono gli stati, l’atteggiamento del potere verso i comportamenti borderline (alcool, tabacco, la stessa prostituzione) è stato quello di sfruttarli, non di farli cessare, forse in applicazione dell’ambiguo principio “vizi privati pubbliche virtù”. E poiché ho probabilmente scandalizzato qualche buon cristiano con la mia storiella d’apertura, per farmi perdonare citerò un bellissimo film del 1950 di Jean Delannoy, “Dio ha bisogno degli uomini”, il cui protagonista (interpretato da un magnifico Pierre Fresnay) spiegava la pratica criminale dei suoi concittadini di attirare le navi sugli scogli per mezzo di segnali ingannatori con il fatto che gli abitanti, poverissimi, riuscivano ad avere qualche oggetto della civiltà solo ricuperandolo dai naufragi. “E si sa – concludeva – che quando si passano le giornate a pregare Dio che mandi qualche nave sugli scogli, si finisce col dargli una mano”. Orribile, certo, ma in fondo non poi tanto diverso dalla pratica di certe amministrazioni comunali di sistemare i divieti in modo tale che all’automobilista di passaggio risulti praticamente impossibile non violare le norme e incorrere nella contravvenzione, considerata dal comune un cespite non trascurabile. Succede, infatti, che quando si trasforma la repressione in una fonte di reddito, la redenzione dei colpevoli appaia sempre meno auspicabile e il confine tra repressione e incoraggiamento al comportamento oggetto della repressione stessa diventa sempre meno certo e l’ordine delle priorità tende ad invertirsi.
Fra i comportamenti borderline non ho citato il gioco d’azzardo, perché le notizie che sono circolate circa una certa negligenza del fisco a riscuotere le relative imposte mi hanno insinuato il dubbio che forse in questo caso non si sia trattato di caccia al denaro (da qualunque parte arrivi) ma di compiacenza ideologica, data l’importanza che il cosiddetto amore per il rischio occupa nella vulgata neoliberista. È vero che, da quel che vediamo, il liberista moderno sembra orientato piuttosto verso l’acquisizione di posizioni di rendita, ma, visto che non ci sono i fatti, non è strano che si cerchi di supplire con le parole. Del resto, anche ai tempi del capitalismo ruggente, il gioco d’azzardo rientrava nella mitologia. Trovo comunque carina l’idea di collocare le slot machines ad almeno cinquecento metri dalle scuole. Poiché fra le grandi missioni dell’epoca nostra ci dovrebbe essere anche la lotta contro l’obesità infantile, indurre i giovinetti a camminare un po’ potrebbe anche essere un modo di prendere due piccioni con una fava.

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