L’Aic di Michel Warschawski riceve a Parigi il premio per i Diritti dell’Uomo

Il 10 dicembre scorso, a Parigi, l’International Information Center di Gerusalemme  ha ricevuto il Premio dei Diritti dell’Uomo della Repubblica Francese. Michel Warschawski, co-fondatore dell’organizzazione israelo-palestinese d’informazione alternativa, e anche grande amico di Pane Pace Lavoro, nel suo discorso ha ringraziato e ha ricordato che la lotta più urgente oggi è quella sull’impunità. “È come per un genitore che sa che deve punire il proprio figlio che ha sbagliato; si tratta di un atto d’amore, anche se doloroso, perché il figlio capisca dove sia il male e non lo ripeta ancora”. Così, con parole molto semplici e dure, Michel ha richiamato le responsabilità politiche del suo governo, del suo popolo, proprio lui che, israeliano fin dai primi anni ‘70 si batte per una pace giusta tra Israeliani e Palestinesi. Una pace che sia fondata sul diritto internazionale; ed è un lavoro che si basa anche e innanzitutto sul rispetto dei diritti umani del popolo palestinese.

In una recente intervista al settimanale francese fondato da cristiani di sinistra, Témoignage Chrétien, al quale lo stesso Warschawski è legato da profonda stima e amicizia da trent’anni, l’attivista ripercorre la storia del suo movimento e le difficoltà che esso ha attraversato nello scontro con la società israeliana, luogo dal quale solamente, sostiene Michel, può partire un cambiamento della politica coloniale e di oppressione.

Una delle preoccupazioni del centro d’informazioni AIC è sempre stata quella di imporre nel dibattito politico israeliano, la parola “coloniale”, “non unicamente le nozioni di colonie e coloni, ma di storia coloniale, di stato coloniale, di strutture coloniali”, dice il giornalista nell’intervista al giornale francese, di cui vi riportiamo solo alcuni punti. Quando si parla nei media internazionali di Medio Oriente, le prime tre parole che vengono in mente sono “processo di pace”, questo perché nonostante le promesse, gli accordi e gli incontri che si sono svolti a livello internazionale, mai il processo di pace è stato una priorità per il governo israeliano, e mai è stato messo davvero e seriamente nell’agenda del governo, fatta eccezione, spiega sempre Warschawski, per i mesi che hanno preceduto la morte di Itzhak Rabin, assassinato il 4 novembre 1995.

È possibile ancora credere che le cose possano cambiare, che il movimento popolare, la denuncia pubblica delle ingiustizie, la pressione al governo e ai media perché parlino della colonizzazione in atto possano davvero incidere sul reale cambiamento della politica israeliana? “Molta gente, riprende l’attivista, ci chiede “ma ci credi ancora?”, la gente ci guarda con uno sguardo di pietà. Ma non è sempre stato così. Alla fine degli anni ‘60, dopo la guerra del 67, e durante gli anni ‘70, eravamo considerati come degli estremisti, dei marginali, dei traditori, che si trovavano in una posizione sbagliata rispetto all’immensa opinione pubblica, anche di sinistra, ed è stato così fino alla guerra del Libano, del 1982; essa ha creato, per la prima volta, una spaccatura nel consenso nazionale. Gli anni successivi sono stati anni di apertura della società israeliana; ci sono stati gli accordi di Oslo e la denuncia di molti israeliani della colonizzazione, per cui non eravamo più contro-corrente, ma sollecitati al contrario dai media e dai circuiti universitari. Oggi, quel qualche migliaio d’israeliani e israeliane che continuano a militare contro l’occupazione, per i diritti dei palestinesi, per l’uguaglianza, non sono più marginalizzati come negli anni ‘70, ma sono-siamo trattati in maniera accondiscendente. Ci dicono “siete rimasti indietro di trent’anni”.

È impossibile sperare in una nuova ondata di mobilizzazione di massa, per il momento, spiega Michel. Gli israeliani infatti non si sono mai sentiti così al sicuro come ora (gli attentati sucidi sono diminuiti drasticamente) e il paese è in crescita. Quindi gli israeliani, sebbene il governo sita virando a destra, pensano che, nonostante la colonizzazione continui, non ci si possa comunque lamentare della situazione, le cose non vadano poi così male. “E’ l’illusione, di coloro che si trovano sotto un cielo assolato mentre tutto intorno arrivano le nuvole. Non vogliamo vedere il cambiamento di rapporti di forza nella regione e l’isolamento progressivo di Israele. È la realtà, spiega ancora Michel nell’articolo di Témoignage Chrétien, che muove l’opinione pubblica, non l’anticipazione di catastrofi a venire. Ma sarà già troppo tardi”. Com’è possibile che l’opinione pubblica israeliana blocchi questa presa di coscienza? “Manca la pressione internazionale; ciò frena l’opinione pubblica e conforta il governo israeliano stretto in un senso di impunità. È un bruttissimo regalo per Israele”. Ma ancora coloro che portano avanti questi discorsi, che vogliono fare cambiare le cose, desiderano fare si che la gente, il popolo, capisca davvero cosa sta succedendo nella realtà delle loro giornate, sono pochi, sono una minorità, e sono ancora marginalizzati. Così Michel spiega l’esperienza del suo movimento e dei problemi che anche loro hanno vissuto nel passato, e continuano a vivere oggi. “La differenza è che negli anni settanta ci marginalizzavano, ci ostracizzavano; ora sì, siamo minoritari all’interno dell’opinione pubblica israeliana, ma il peggio l’abbiamo passato. Ora, direi, facciamo parte del paesaggio. Poi ci sono delle lotte per le quali bisogna riconoscere di essere una minoranza, e direi quasi “con fierezza”. Bisogna lasciare da parte la disperazione e fare ciò che dobbiamo fare. Non si tratta di fare scendere in strada 4 mila o 7 mila persone; lo scopo è che ne scendano in piazza 150 mila. La domanda che ci poniamo oggi è: come la piccola strada può cambiare la grande strada?”.

Qui di seguito il link al video della premiazione di Michel Warshawski a Parigi. Il video è in francese con sottotitoli in inglese. Una traduzione in italiano è disponibile qui sotto.

Link al video: http://www.alternativenews.org/english/index.php/news/news/5898-video-aic-receives-2012-human-rights-prize-of-french-republic-.html

Discorso di Michel Warschawski rappresentante del Centro di Informazione Alternativa – Israele-Palestina, “Premio dei Diritti dell’Uomo della Repubblica Francese”, 10 dicembre 2012

Signora Ministro, Signora Presidente, membri della giuria e gli amici, che siete qui numerosi, avevo preparato un bel testo, ma non voglio parlare per frasi fatte per cui improvviserò rapidamente nel tempo molto breve che mi è concesso. La violazione dei diritti nel mio paese, in Israele e nei territori che il mio paese occupa, non devono più essere provati. Il giudice Goldstone, nominato dalle Nazioni unite, ha stilato il suo rapporto. Il tribunale Russel, che è un tribunale cittadino, molto prestigioso e di cui abbiamo la fortuna di avere qui con noi il presidente, – che è anche uno dei padrini del nostro centro di informazione alternativa, perché Stéphane Hessel ci accompagna da molti anni-  hanno rivelato che il diritto è violato in maniera sistematica. Uno dei compiti che ci siamo prefissati, come Centro di Informazione Alternativa, a Gerusalemme e a Betlemme, – e rimpiango che il mio co-presidente palestinese non abbia potuto essere qui oggi, perché non è facile lasciare il paese quando si è palestinesi, e bisogna dirlo – lavora contro l’impunità. I crimini ci sono, e ci sono i responsabili politici, i responsabili militari, ci sono i coloni. Noi prepariamo dei dossier, perché questi crimini non restino sconosciuti, e per domandare che queste persone, che in ogni caso sono sospettati di avere commesso dei crimini, siano trascinati davanti la giustizia. Noi vorremmo che fossero trascinati davanti alla giustizia del nostro paese. Ma le denunce che abbiamo depositato non hanno mai avuto seguito, ed è per questo che il nostro progetto è quello di rivolgerci a delle Corti Internazionali, perché agiscano. Questa è la procedura, perché quando non possono essere giudicati nel loro paese, allora le procedure internazionali possono essere messe in funzione.

Noi rifiutiamo l’impunità, e finisco su questo punto, per tre ragioni. La prima è una ragione di igiene pubblica internazionale. Perché il nostro mondo non tolleri che dei criminali possano essere liberi, che possano circolare liberamente: devono essere, per lo meno, giudicati. Ed è una questione d’igiene internazionale. La seconda ragione è per fare giustizia alle vittime, almeno un poco di giustizia, che possano vedere coloro che commettono dei crimini sono tradotti davanti alla giustizia. Che possano almeno avere la verità riconosciuta. I nostri amici sudafricani, quando hanno organizzato il processo di Verità e Riconciliazione, l’avevano capito. La riconciliazione è il nostro obiettivo, il nostro fine, il nostro ideale, il nostro sogno. E non può realizzarsi se la verità non è smascherata e detta da coloro che hanno commesso quei crimini. La terza ragione riguarda il mio popolo, gli israeliani. L’impunità, e molti i voi sono genitori, e alcuni anche già nonni, l’impunità, e noi lo sappiamo, è il peggior servizio che possiamo fare ai nostri figli. Quando commettono delle malefatte, bisogna punirli. Per il loro bene. È un’espressione che non mi è mai piaciuta, ma c’è un atto d’amore nella punizione, un atto di responsabilità. Perché se siamo nell’impunità, se non mettiamo delle barriere, non ci fermeremo se non il giorno in cui ci fracasseremo la testa contro il muro. E quando parliamo di Israele e Palestina, il muro è molto concreto. Quindi è come qualcuno che ama il suo paese: si, io amo il mio paese, e sono anche cosciente dei crimini che la sua politica coloniale commette, lo faccio per il suo bene. Noi domandiamo alla comunità internazionale: giudicateci, puniteci se bisogna farlo, perché questo permetterà alla generazione dei nostri figli e dei nostri nipoti forse, di comprendere che se volgiamo essere accettati dalla comunità internazionale, se vogliamo avere il nostro posto, un posto legittimo e rispettato all’interno della comunità internazionale, bisogna mettere fine a delle pratiche che sono la violazione del diritto. L’impunità non ha mai aiutato nessuno. La lotta contro l’impunità è davvero un atto d’amore verso coloro che commettono questi crimini. Grazie.

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