No alla riforma Boschi Renzi nel nostro nome

Una Costituzione è fatta per servire l’uomo e le sue espressioni sociali che ne fanno un popolo, non in primo luogo, per organizzare tecniche di governo, per servire l’economia, per costruire ambiti di potere.Una Costituzione aiuta e ordina l’unione delle parti affinché l’unità possa realizzare ciò che le singole parti non possono compiere.
Una riforma costituzionale dovrebbe adattare la Costituzione vigente alle necessità sociali del tempo affinché la vita civile possa essere più ordinata attraverso regole più condivise e giuste tese all’incremento e allo sviluppo di ogni singola componente popolare così che ogni cultura, ogni fede, ogni storia sociale contribuisca con il proprio apporto di esperienza al bene comune, cassando così l’individualismo sociale e politico. Di questo tipo di riforma l’Italia ha urgente bisogno.
La Legge Boschi (testo soltanto Governativo) non è una riforma ma una SOSTITUZIONE della Costituzione del 1948. Tale legge, infatti interviene su oltre 40 articoli che riguardano tutto il sistema della rappresentanza popolare, e perciò la forma dello Stato, rendendo in larga parte solo nominativi i diritti enunciati nella prima parte della Costituzione vigente.
Una sostituzione della Costituzione necessita di un’Assemblea costituente non di passaggi rissosi entro un Parlamento nel quale la rappresentanza dei cittadini è stata già negata dalla Corte Costituzionale con la pronuncia sul Porcellum.
Il nostro NO è, prima di tutto, una difesa della voce del popolo e, in esso, delle minoranze. Queste sono solo alcune ragioni di dissenso.
1. NO perché la Legge Boschi non aumenta il pluralismo ma comprime la rappresentatività dal momento che offende la reale partecipazione dei cittadini nelle Istituzioni centrali e, quindi nelle decisioni legislative.
NE SONO ESEMPI:
• la cancellazione dell’elezione a suffragio universale e diretto dei Senatori (che per il nuovo art.55 cessano di rappresentare la nazione) con un’elezione di secondo grado da parte delle Assemblee elettive regionali;
la mancanza di norme certe e definitive, al momento del voto referendario, sulla modalità di scelta dei consiglieri regionali e sindaci che diverranno senatori;
• il numero di firme per presentare leggi di iniziativa popolare passa da 50mila a 150mila (art.71) e quelle per indire un referendum da 500 mila a 800mila rendendo pressoché impossibile l’iniziativa a molte parti attive dentro la vita sociale;
• la disparità di partecipazione dei cittadini delle Regioni a statuto ordinario rispetto a quelli residenti nelle Regioni a statuto speciale;
2. NO perché non sottostiamo alle bugie vestite da progresso che mascherano la gestione reale del potere istituzionale da parte di pochi o pochissimi grazie alla soppressione dei contrappesi necessari alla vita democratica che garantiscono il pluralismo:
NE SONO ESEMPI:
• la presunta semplificazione delle modalità di approvazione delle leggi, perché il nuovo art. 70 prevede ben 10 procedimenti diversi per la formazione legislativa, inoltre studi parlamentari confermano che le lentezze attuali non sono dovute alla “tecnica” costituzionalmente vigente, ma soltanto, nella maggioranza dei casi, alla difesa di interessi partitici del più miserevole rango; (vedi legge Fornero solo per citare la più nota) • le competenze regionali, con la riforma del titolo V, vengono ampiamente
ridimensionate. Tra le materie attribuite alla competenza statale si richiamano, in
particolare: la tutela e la promozione della concorrenza; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; le norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro pubblico; le disposizioni generali per la tutela della salute; la sicurezza alimentare; la tutela e sicurezza del lavoro, nonchè le politiche attive del lavoro; l’ordinamento scolastico, l’istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica. Inoltre, è introdotta la c.d. “clausola di supremazia”, in base alla quale la legge statale – su proposta del Governo – può intervenire quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale. (che sarà lo stesso Governo a determinare).
• il rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento viene fortemente compromesso perché solo la Camera potrà dare la fiducia al Governo (com’era nello Statuto Albertino), controllarne l’operato e decidere l’indirizzo politico;
• il Governo potrà determinare l’agenda dei lavori parlamentari presentando proprie “leggi d’urgenza” la cui approvazione dovrà rimanere entro i 70gg. Per far funzionare l’Italia serve più governabilità, ossia le mani libere del Governo rispetto al Parlamento. Fiat voluntas mea e neutralizzazione del controllo dal basso. Ma siamo disponibili a diventare oggetto del primo che allunga una mano per possedere l’intera realtà e strumento per i progetti di quel “qualcuno” che è più potente?
• Alla sola Camera è attribuita la competenza ad assumere la deliberazione dello stato di guerra, ad autorizzare le missioni all’estero; ad adottare la legge che concede l’amnistia e l’indulto, ad autorizzare la ratifica dei trattati internazionali, ad eccezione di quelli relativi all’appartenenza dell’Italia all’UE. Alla Camera spetta altresì il potere di autorizzare la sottoposizione alla giurisdizione ordinaria del Presidente del Consiglio e dei Ministri per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni.
• lo “statuto delle opposizioni” valido solo per la Camera, verrà normato con un Regolamento, perciò verrà fatto dagli stessi soggetti che controllano tutto il resto;
3. NO perché queste novità sono unicamente il frutto del fallimento del “partitismo”, non del “bicameralismo”, che ha fatto dei partiti non più il luogo di maturazione delle idee e delle politiche che vengono dalla vita dei cittadini, ma sono diventati scuole di formazione e trasformazione di piccoli o grandi caudilli difensori soltanto di se stessi e molto modesti quanto a preparazione e legame popolare;
NE SONO ESEMPI:
la sbandierata e vile minaccia che non ci sarà mai più una possibilità di altra riforma in
futuro;
• l’insistenza al veloce cambiamento dell’assetto statale nel momento in cui una legge
elettorale truffa espropria noi cittadini del diritto al pluralismo e all’ingresso alla vita istituzionale democratica assegnando a una minoranza (raccolta anche per l’abbandono di molti del diritto di voto), perfino assurdamente ridicola, la maggioranza dei seggi e quindi il controllo di un solo partito sull’unica Camera politica.
• la favola dei risparmi dei costi ben sapendo che l’ammontare degli stipendi dei parlamentari non è materia costituzionale ma può essere decisa con legge ordinaria. Passare da 315 senatori a 100 e non pagare i consiglieri regionali che siederanno in Senato sarà la panacea ai buchi di bilancio. Precisato che l’apparato del Senato (palazzi, organizzazione interna…eccc) vengono mantenuti, ci si soffermi un attimo sulla retribuzione dei parlamentari. Crediamo che retribuire la funzione istituzionale sia più che giusto, che questo assicuri indipendenza da pressioni varie, che consenta a ogni cittadino di poter assumere una carica pubblica qualunque sia la sua condizione sociale e di poterla svolgere nella sede opportuna, con continuità e avendo a disposizione strumenti e mezzi. Se la retribuzione attuale non è adeguata si possono fare leggi per modificarla, ma non si può utilizzare questo piede di porco come pretesto per eliminare una rappresentatività necessaria. Quanto poi all’uso o all’abuso del denaro pubblico, questo è argomento culturale, antropologico e non si risolve certo in questo modo.
4. NO perché la pressione che viene esercitata su questo voto da parte di poteri internazionali e finanziari è segno, a nostro avviso, di mancanza della necessaria serenità e libertà di scelta da parte degli italiani.
5. NO perché il quesito impone una pronuncia su argomenti troppo diversi per contenuto, importanza e conseguenze mettendo in un sol mucchio ciò che invece dovrebbe avere diversa sorte.
Il pluralismo è l’unica forma possibile, reale, di democrazia. Il pluralismo consiste in due elementi complementari. Il primo è il rispetto di una libertà concreta cioè la possibilità di essere presenti, entro le istituzioni, da parte degli organismi sociali di base con la propria iniziativa nell’educazione, nella cultura, nell’economia, nell’informazione, nello sport, nell’assistenza, cioè, tout court, nella politica. Se così non è, la libertà enunciata nella prima parte della Costituzione è astratta e non è un frutto sociale e politico. Il secondo riguarda il realizzarsi della laicità dello Stato cioè la difesa degli spazi di azione per le molteplici realtà che il popolo esprime.
Lo Stato non è il nostro dio ma l’agente comune che sollecita, promuove, difende la costruzione del bene di tutti e la guida perché ogni apporto trovi realizzazione concreta nell’integrazione e nella fiducia reciproca, organizzando e armonizzando i rapporti sociali secondo giustizia e equità.
Ci chiedono di rinunciare a questa lotta in nome del futuro. Non è il futuro che vogliamo, non è un futuro di libertà, di giustizia, di lavoro, di pace.

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