11 settembre 2001

DALL’ARCHIVIO  DEL 2001:
Siamo tutti americani. I morti di New York e di Washington erano impiegati e lavoratori, gente comune, statunitensi e gente di tutto il mondo. Per essi è il nostro dolore, quello di noi che viviamo e lavoriamo come loro; è per essi come lo è e lo è stato per le vittime di tutte le città bombardate dagli eserciti della nostra civiltà. Uccidere migliaia di persone che lavorano a Wall Street è insensato e sanguinario come sarebbe far saltare una fabbrica con tutti i suoi impiegati solo per colpire l’impresa in cui lavorano o come sarebbe, o è stato, bombardare Bagdad per eliminare il potere di Saddam Hussein. Ogni massacro è da ripudiare; anzi, lo è anche l’attentato contro un solo essere umano. In questo senso, sì, siamo stati colpiti tutti; e in questo senso, sì, “siamo tutti americani”.

Non siamo tutti americani. Il pericolo più grave, ora, però, è la sindrome della vendetta, la volontà di rappresaglia bellica a qualunque costo (producesse pure un conflitto mondiale), il rispondere a un terrorismo tragico con il terrorismo di Stato (o della NATO). A parte il fatto che questa reazione non frenerà attacchi terroristici di questo genere, ma, anzi, li alimenterà di diversissime forme, dare la scalata alla violenza renderà l’universo intero una minaccia costante. Se è vero che questo, ora, gli Stati Uniti stanno cercando, allora no, “non siamo tutti americani”. E, oltre al fatto che, ora, c’è da accettare una sconfitta, c’è da pensare alle vittime, c’è da soccorrere un popolo umiliato nelle sue famiglie e c’è da provvedere all’impegno per il ritorno, non certo rapido, alla normalità, c’è anche da comportarsi diversamente dalla televisione (che ripete fino alla nausea la cinica visione del secondo aereo che colpisce la torre, impedendo al contempo la ponderazione dei fatti) e tentare una riflessione.
Il perché. La riflessione non può indirizzarsi esclusivamente all’immediato risultato di trovare un colpevole da punire. Questo atteggiamento genera soltanto accuse preconcette, rappresaglie indiscriminanti, manzoniane cacce all’untore, fantascientifiche ricerche di un nuovo “Settembre nero”, generalizzazioni di comodo. Alla domanda su chi sia il colpevole verrà data risposta con le indagini e con il tempo dovuto; ma, soprattutto, occorre chiedersi perché tutto questo succeda. Una riflessione immediata sulle cause infatti può fare sì che si lavori affinché questi massacri non si ripetano e affinché la reazione non sia di vendetta, ma di costruzione dignitosa di basi nuove di convivenza e di vera e concreta eliminazione di ogni terrorismo.
Perché siamo così odiati? La domanda sul perché può essere questa: perché c’è gente che è disposta a dare la propria vita in modo tragico pur di danneggiare gli Stati Uniti? “Perché siamo così odiati?” Non a caso, sono stati colpiti il World Trade Center (luogo del mercato) e il Pentagono (luogo della guerra): è il segno di un ripudio al modo in cui l’ordine internazionale e globale si sono imposti, mediante la preminenza e la prosperità di un pugno di nazioni a scapito delle altre. Forse, proprio il mondo globale dovrà aprire gli occhi sul fatto che il mondo è proprio uno (e che, perciò il benessere di alcuni esista grazie all’esistere del malessere di altri). Le Twin Towers e il Pentagono: sono stati colpiti due paradigmi dell’attuale ordine globale; la tragedia immensa è prodotto e immagine del presente stato del mondo.
La dittatura “senza volto”. Ormai, nel mondo, il mercato domina e non permette altre politiche che quelle a esso favorevoli. E, quando si chiede chi sia, dove sia, come sia possibile discutere con il mercato, troviamo di fronte una mano invisibile, un fantasma senza volto, nessuno: i governi non sanno, gli imprenditori non possono, i politici non si azzardano (“questo è lo stato delle cose e non possiamo farci nulla”). Molti cercano di influire su questo mercato, di difendere i diritti degli uomini di fronte alla sua invasione, di dialogare con i suoi tecnici, ma davanti trovano soltanto una “nebbia”, una nebbia attiva, che elimina posti di lavoro, che riduce salari, che distrugge diritti sociali. Il potere che ha colpito e dissolto i manifestanti pacifisti e organizzati a Genova, per lasciare invece campo libero agli anonimi e violenti “Black Block”, si è comportato allo stesso modo: i grandi del G-8 non vogliono confrontarsi con forze sociali organizzate (per natura opposta al terrorismo), ma con quei violenti nemici disperati e “senza volto” che la loro stessa politica genera; il mercato “anonimo” preferisce affrontare questi violenti nemici, per potere così legittimare le proprie atrocità contro l’uomo in tutto il mondo (uomo che è uguale nelle sue gioie, nel suo lavoro e nelle sue pene, al popolo del WTC che il terrorismo senza volto ha assassinato nelle torri gemelle). La dittatura “senza volto” del mercato non è forse uno dei motivi della tragedia?
New York – Hiroshima – Nagasaki – Panama – Vietnam – Baghdad. L’ONU e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo sono stati la conquista sofferta del secolo scorso e di parte del XIX: norme che proteggessero l’uomo, il lavoro e la vita nel mondo. Si arrivò ad essi anche attraverso guerre mondiali, rivolte, lotte. Ma, quando questi equilibri hanno contraddetto il mercato, il Pentagono ha avuto molto a che vedere nell’eliminarli. I 110 piani che servivano a riconoscere New York nell’universo sono diventati di colpo una tomba enorme: poteva sembrare Hiroshima, o Nagasaki, o Panama, o il Vietnam, o Baghdad; e grazie a chi questi luoghi possono essere presi a termine di confronto?
Il terrorismo, la giustizia, il diritto. La dittatura globale del mercato, che non conosce interlocutori, non ha forse generato questo nemico senza volto che è il terrorismo a livelli inauditi? Anch’esso, come il mercato, non conosce frontiere e non lo si può vedere in volto. Le organizzazioni distrutte dal mercato lottavano per la giustizia e per i diritti; quando si nega la giustizia e quando il diritto diventa quello dei mercati finanziari e dei patti privatistici, si lascia spazio a quella vendetta che si chiama terrorismo, cui si vuole ora opporre un’altra vendetta, e così via.
Il nostro futuro. Riflettere sullo stato del mondo e della globalità è nostro compito, per continuare a creare forme di organizzazione e di difesa dei diritti umani, sociali, politici e di libertà contro i due nemici senza volto; la dittatura del mercato e il suo prodotto, il terrorismo.