Una spallata a Cadorna. Ma perché solo lui?

di Aldo Giobbio

Ho captato da una rassegna radiofonica che il comune di Udine ha sbattezzato (si dice così?) la piazza intitolata al generale Luigi Cadorna, capo di stato maggiore italiano dall’inizio della prima guerra mondiale (occupava già tale carica allo scoppio del conflitto) al novembre 1917, quando venne destituito dopo lo sfondamento di Caporetto, e che altri comuni si appresterebbero a seguirne l’esempio. La mia personale opinione è che vie e piazze dovrebbero sempre portare i vecchi nomi (piazza del Duomo, piazza delle Erbe, via del Fieno; a Bruxelles c’è una stupenda rue de la Fossée aux loups che suscita suggestivi ricordi di civiltà medievale). Perciò non piangerò più che tanto per lo sgarbo fatto a Cadorna, del quale non sono mai stato un ammiratore. Ma perché hanno fatto questo scherzo a lui e non, per esempio, ad Antonio Salandra e Sidney Sonnino, colpevoli molto più di lui della ”inutile strage”? Il culto che gli è stato tributato era eccessivo? D’accordo, ma non rischia ora di esserlo anche l’anatema? Non fu lui a dichiarare la guerra. La condusse male, è vero; ma che cosa avreste fatto voi nei suoi panni?

Luigi Cadorna, nato nel 1851, nel 1915 aveva 64 anni e almeno dal 1882, quando l’Italia aveva firmato la Triplice Alleanza con l’Austria e la Germania, in tutti i gradi da lui successivamente ricoperti era stato educato per fare la guerra alla Francia. Nell’aprile del 1915 si sentì dire che aveva un mese per farla all’Austria. Non sarà stato un fulmine di guerra, ma penso che anche Napoleone avrebbe provato qualche imbarazzo. Rammentate quella stupenda canzone (veramente popolare, non la fasulla Leggenda del Piave) che incomincia

Non ti ricordi quel mese d’aprile
Quel lungo treno che andava ai confini
E trasportava migliaia degli alpini,
Su su correte, è l’ora di partir!

Intanto notate il riferimento al «mese d’aprile», quando era stato firmato il Patto di Londra. Il repentino trasferimento di truppa era incominciato subito, non come nella Leggenda del Piave, dove il comando italiano fa la figura di una banda di mentecatti che fa passare il Piave (sic! Non l’Isonzo) dai «primi fanti» il 24 maggio! La canzone prosegue con

Dopo tre giorni di strada ferrata
Ed altri due di lungo cammino,
Siamo arrivati sul Monte Canino.
A ciel sereno ci tocca riposar!

Tre giorni?! Sia pure con la velocità delle tradotte? Certo: avevano dovuto attraversare tutta l’Italia settentrionale. Il monte “Canino” – per la precisione Canin, nelle Alpi Giulie – strapiomba sulla valle dell’Isonzo. Gli alpini della canzone avranno dovuto lasciare la ferrovia nel fondovalle e proseguire a piedi. Il testo è di una precisione estrema e non depone a sfavore di Cadorna. Fosse stato pure il 30 di aprile, era riuscito a portare la truppa in prima linea con una ventina di giorni d’anticipo. Gli alpini, è vero, dovevano riposare «a ciel sereno». Nulla era stato preparato. Non bene, certo, ma suvvia: aveva avuto pochi giorni, non 33 anni, come se avesse fatto la guerra alla Francia.

Però, una volta stabilito che doveva fare la guerra all’Austria, fu meno brillante. Il suo piano originario era di invadere la Slovenia, vincere una grande battaglia presso Lubiana e di lì puntare su Zagabria dove, dopo un’altra vittoria, le truppe italiane si sarebbero congiunte con l’esercito serbo, che nel frattempo avrebbe risalito la valle della Sava, e insieme avrebbero marciato su Budapest. Questa strategia “napoleonica” non comportava l’investimento di Trieste, che in effetti, in un contesto del genere, sarebbe caduta da sola. Gli austriaci, invece, si aspettavano che gli italiani, per prima cosa, avrebbero occupato Trieste, che era praticamente indifesa. Visto che non arrivavano, dopo una settimana conclusero che “se non l’avevano presa fino a quel momento, non l’avrebbero presa mai”. Cadorna, invece, sacrificò sul Carso (a malincuore, bisogna riconoscerlo, perché era abbastanza soldato da riconoscere la totale inutilità strategica di un eventuale possesso di Trieste) decine di migliaia di infelici, quando il governo, per motivi politici, gli ordinò di prenderla a tutti i costi. Non gli riuscì. Non gli riuscì nemmeno il piano napoleonico. L’esercito italiano rimase fermo sull’Isonzo e quello serbo fu respinto dagli austriaci fino al mare, dove navi italiane imbarcarono quel che ne restava. Una delle foto per me più commoventi di quella guerra mostra due giovanissimi marinai italiani che con affetto, quasi fosse stato il loro nonno, portano a braccia il generale comandante dei serbi che, già gravemente ammalato, sarebbe morto pochi giorni dopo. Una nota umana in una storia disumana.

Dal maggio 1915 all’ottobre 1917 – quando mandò al massacro la meglio gioventù nelle inutili “spallate” contro le linee austriache – Cadorna fu esaltato oltre i suoi meriti dalla stampa governativa. Dopo la XII battaglia dell’Isonzo (Caporetto) fu criticato più di quanto non meritasse, mentre ebbe certamente una parte notevole nel predisporre la difesa sul Piave e nell’ottenere, nel convegno di Peschiera (8 novembre 1917) l’assenso degli alleati, che in quei giorni avrebbero voluto l’arretramento addirittura sul Mincio. L’esaltazione successiva, dopo la guerra, fu anch’essa immeritata e dettata da motivi essenzialmente politici, ma non fu un uomo privo di qualità. Altri che non ne avevano meno di lui non riposano in una tomba altrettanto monumentale di quella che gli hanno eretto a Pallanza, in vista del lago, senza tener conto del fatto che avrebbero preferito, più che una bella tomba, non entrarci così presto. La responsabilità della loro morte prematura, tuttavia, non fu principalmente sua. È giusto che venga ridimensionato, non che diventi l’ennesimo capro espiatorio. Se invece la sua giubilazione postuma deve aprire la strada anche per Salandra, Sonnino, D’Annunzio, Albertini, Fraccaroli, Barzini e compagnia cantante, allora ben venga, e sarà stata una grande opera di igiene mentale.

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