L’Italia festeggia in questi giorni il settantesimo anniversario della liberazione dall’occupazione nazifascista, ovvero l’uscita da quello che fu uno dei capitoli più bui della nostra storia. Uscimmo da quel ventennio e da quella guerra grazie al sacrificio della vita di molti, grazie al sacrificio di uomini e donne che anteposero la libertà e la dignità umana di tutti gli uomini ad ogni loro, pur molto legittima, pace personale, pagando molte volte questo coraggio con la propria vita.
Quegli uomini e quelle donne hanno insegnato all’Italia a non piegarsi, a resistere, davanti ad un potere fatto di violenza, di soprusi, di dolore e di negazione della dignità umana. Hanno insegnato agli italiani ed al mondo intero che la vita di ogni uomo è sacra, come sacro è il diritto alla libertà ed alla sopravvivenza. Hanno insegnato a tutti noi che difronte all’ingiustizia la cosa giusta è combattere per abbattere tutto ciò che mira ad impedire la piena realizzazione di ogni uomo.
Oggi per noi fare memoria di quegli uomini e quelle donne (perché degli uomini si fa memoria e non degli eventi) significa ripetere con i fatti la loro lotta e i loro ideali. Non dobbiamo perciò rischiare di chiuderci nella celebrazione di un rituale o di un ridondante appello ai generici valori della resistenza.
Oggi in Italia si combatte un’altra guerra, perché le cifre dei morti nel canale di Sicilia, teatro proprio pochissimi giorni fa dell’ennesima tragedia, sono le cifre di una guerra. Oggi allora, come 70 anni fa, siamo chiamati a lottare per la libertà e per riaffermare la dignità di ogni uomo. Contro quanti vorrebbero escludere il problema con un muro, contro quanti usano la tragedia della morte di migliaia di uomini per riguadagnarsi gli spazi politici perduti, contro quanti gioiscono della morte di un uomo, contro quanti pensano che la vita di un italiano valga più della vita di chiunque altro. Oggi siamo in piazza per affermare che gli stessi italiani morti per la liberazione ci impongono di desiderare ed attuare per la dignità, per la libertà e per la pace di quanti giungono sulle nostre coste in cerca di aiuto. Tutti quegli uomini e quelle donne che hanno costruito l’Italia si schiferebbero davanti a quelli che, in nome di una italianità tutta loro, mercificano la morte dei migranti.
Bisogna indignarsi davanti alla risposta che i nostri politici hanno dato alla tragedia. Per loro il problema è diminuire gli arrivi, per noi il problema è: salvaguardare la vita degli uomini, di qualunque Paese, lingua o religione siano.
Già altre volte siamo intervenuti per protestare contro quelle che i potenti vogliono fare apparire come guerre di religione per spostare l’attenzione sul vero fatto alla base di ogni recente conflitto, ovvero la finanza e la bramosia di potere. Non bisogna mai dimenticare che queste persone che arrivano sulle coste europee scappano da guerre che abbiamo contribuito a far scoppiare e che continuiamo ad alimentare. Non centra nulla l’odio religioso, centra la povertà che abbiamo creato e della quale siamo i primi responsabili.
È necessario allora:
1. Operare per un rinnovamento culturale capace di costruire una politica di pace e non di sfruttamento.
2. Isolare politicamente qualunque discorso che miri ad aumentare xenofobia e razzismo.
3. Opporsi alle politiche di respingimento incondizionato comprese quelle che mirano ad impedire la partenza delle barche dalle coste libiche.
4. Ripristinare l’operazione Mare Nostrum con il sostegno di tutta l’Europa
24 aprile 2015, Pane Pace Lavoro
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“La folla è ignorata dagli uomini di governo, dai burocratici provinciali e cittadini. La folla, in quanto è composta di singoli, non in quanto è popolo, idolo delle democrazie. Amano l’idolo, fanno soffrire il singolo individuo. Sono crudeli perchè la loro fantasia non immagina il dolore che la crudeltà finisce col suscitare. Non sanno rappresentarsi il dolore degli altri, perciò sono inutilmente crudeli.”
Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti