Allo sbando forse no, ma sbandata sì

I risultati delle ultime elezioni sono stati certo deludenti per tutti quelli che pensano che l’amore di patria non sia un delitto. Non sono, però, così inaspettati come molti hanno creduto, o fatto finta di credere. Il presidente Napolitano ha detto con forza che l’Italia non è allo sbando. Poiché la funzione che occupa gli impone prima di tutto di difendere l’onore del Paese, ha fatto benissimo a dirlo. Ciò non toglie che usare aggettivi come “delicata” o “complessa” per definire la situazione sia più o meno un eufemismo. Berlusconi non ha vinto (in fin dei conti Bersani, sia pure di stretta misura, ha prevalso nel confronto diretto) ma certamente il fatto che abbia ottenuto una simile affermazione, dopo tutto quello che era successo, dà molto da pensare. Adesso si è aggiunta un’altra “grana” giudiziaria che, avendo come argomento un caso di presunta corruzione di un parlamentare, lo tira in ballo non per comportamenti discutibili come privato cittadino ma addirittura nell’esercizio della sua attività di uomo politico. Fra l’altro, il fatto che l’accusa parta da Napoli gli impedisce, almeno per una volta, di inveire contro i giudici di Milano, e il fatto che il procedimento sia stato reso noto solo dopo le elezioni gli toglie anche la possibilità di parlare di “giustizia ad orologeria”. Ma perché parlo di Berlusconi e non del Pdl? Perché quest’ultimo ha ampiamente rivelato di non esserci. Nelle poche settimane nelle quali sembrava che Berlusconi si fosse ritirato si stava squagliando come neve al sole, mentre si è impennato di colpo non appena l’invitto duce è ricomparso.

E questo è il punto. Perché nessuno impedisce ad un paese di avere una destra, ma questa che destra è? In tutti i paesi civili, con un ragionevole assetto democratico, la scena politica è normalmente dominata da tre forze: la socialdemocrazia, i cristiano-sociali e i liberal-democratici. I nomi possono essere diversi ma la sostanza è sempre quella. Orbene, l’Italia (dimentichiamoci certi nomi di partito: nomina non sunt res) ha incominciato ad avere qualcosa che assomigliasse abbastanza ad un vero partito socialdemocratico solo dopo le svolte impresse al PCI da Berlinguer in poi. Era cristiano-sociale forse il 30 per cento della vecchia DC, che in seguito o non ha sopravvissuto allo sfascio della Balena Bianca o ha finito con il confluire nel PD. I liberal-democratici non sono mai esistiti (fin dal 1925, se vogliamo essere giusti con i nostri contemporanei); molti sono delusi, ma io considero un miracolo (e una speranza per il futuro) che Monti e i suoi amici abbiano preso il 10 per cento. Sarà poco, ma è la prima volta.

Gli elettori del Pdl non sono una destra moderna, e nemmeno semplici moderati: sono quella parte d’Italia che va dietro l’uomo del destino, o della Provvidenza, o comunque lo vogliate chiamare. Non solo il Pdl senza di lui non conta niente, ma tutti gli uomini politici in qualche modo riconducibili all’area moderata che si siano staccati da lui (come Fini) o che abbiano avuto una storia indipendente (come Di Pietro) sono stati ributtati ai margini. Maroni sostiene di aver vinto in Lombardia, ma in realtà Ambrosoli lo avrebbe distrutto se la Lega, dopo un brevissimo momento di ribellione, non fosse prontamente tornata all’alleanza con Berlusconi.

E allora? Beh, indovinala grillo. E Grillo l’ha indovinata. La natura ha orrore del vuoto, si diceva una volta. E almeno per il momento quel vuoto è stato riempito. In termini strettamente logici, la natura del Movimento Cinque Stelle, sfrondata di alcune proposte demenziali come l’idea di uscire dall’euro, non è di destra, perché al 90 per cento raccoglie le preoccupazioni più che legittime di coloro che si aspettano di dover fare la parte dell’erba quando lottano gli elefanti – e in buona parte già la fanno. Se ci fossero nuove elezioni – e soprattutto se si svolgessero con un meccanismo a doppio turno, come quello francese – molte situazioni confuse probabilmente si chiarirebbero. In ultima analisi, l’M5S sembrerebbe destinato a costituire una parte importante di una nuova sinistra democratica, probabilmente non con Bersani (nonostante la grande simpatia che ho per lui) ma con Renzi non mi sembrerebbe fuori del mondo. D’altra parte, se persiste, Monti potrebbe allargare il suo elettorato a settori importanti dell’imprenditoria e anche del mondo bancario minimamente consapevole dei suoi doveri verso la comunità nazionale e l’Europa. Le previsioni per il futuro potrebbero quindi non essere troppo pessimistiche, per quanto soggette a molte condizioni, delle quali la principale è il tempo, perché l’evoluzione necessaria non si compie in un giorno. Chi gestirà l’interregno? Chi troverà la maggioranza necessaria per cambiare almeno la legge elettorale (rifare le elezioni con la stessa legge di oggi non avrebbe senso)? Chi e con quali mezzi potrebbe allentare la pressione fiscale e ridare un po’ di fiato all’economia? Quest’ultimo, fra l’altro, è un punto fondamentale dal quale può dipendere in gran parte il comportamento politico del ceto imprenditoriale – oltre che quello dei lavoratori, ovviamente. Il passo è difficile, la via strettissima, però – con un minimo di carità di patria – non è detto che non si possa riuscire. (a.g.)

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