Ci sono voluti 38 lunghi anni perché il Governo di Sua Maestà britannica rendesse pubblico il resoconto sui fatti dell’episodio più crudele della storia della repressione in Irlanda del Nord, episodio tristemente ricordato come il “Bloody Sunday”, la “domenica di sangue”. Domenica 30 gennaio 1972 infatti, l’esercito britannico intervenne a sedare le manifestazioni di protesta della popolazione di Londonderry (ma preferisco chiamarla come i suoi legittimi abitanti desiderano, soltanto “Derry”) in modo ultraviolento, ma, secondo le fonti, autorizzato, provocando la morte di 13 civili (cui ne seguì un’altra di un giovane manifestante in ospedale, a causa delle ferite riportate). Sono intervenuti i parà, come contro una qualsiasi folla di criminali (o, come troppo facilmente oggi si tende a identificare, “contro dei terroristi”) e hanno sparato contro questi ragazzi, donne, bambini, operai, scesi nelle strade per chiedere la parità di diritti civili per la popolazione cattolica (originaria del luogo, quindi irlandese) rispetto a quella protestante (dei “colonizzatori” inglesi), armati solo del loro coraggio nel salire sulle barricate di Bogside, quartiere molto povero, molto cattolico, e anche molto repubblicano, della città.
Per molti dei presenti fu proprio l’aggressione estremamente violenta dell’esercito e dei paramilitari inglesi, la scintilla che provocò un rapido e massiccio arruolamento nelle file dell’IRA (Irish Republican Army) e tutta la scia di violenze, attentati e morti che ne conseguirono. Trent’anni di storia e di ingiustizia infinita.
Proprio oggi, nelle stesse strade di Bogside si riuniscono di nuovo le famiglie di quegli uomini e donne, per ascoltare, invece, le parole del rappresentante del Sinn Fein Jhon Kerry; finalmente il “perché” di quelle morti è stato reso noto a tutti e getta un velo di vergogna sul governo britannico, un’ombra tanto oscura da cancellare l’onta di secoli di sottomissione, umiliazione e dolore che il popolo nord-irlandese sta ancora pagando.
Le parole di Jhon Kerry ritornano sulla dichiarazione del neo-premier di Downing Street, David Cameron: “le 14 vittime uccise dai militari inglesi durante la manifestazione PACIFICA per i diritti civili organizzata a Derry il 30 gennaio 1972, non rappresentavano alcuna minaccia per i militari britannici. Erano tutte disarmate. Il rapporto (n.d.r. rapporto redatto dal giudice britannico Lord Mark Saville, iniziato su istruzione di Tony Blair nel 1998, reso pubblico appunto oggi, 15 giugno 2010) condanna fermamente il comportamento dei militari britannici che aprirono il fuoco quella domenica”. Forse il risultato dell’atto di accusa del giudice Saville si limita solo a sottolineare le colpe dei giovanissimi soldati di leva inglesi, “buttati” in un contesto che non erano in grado di gestire, che, armati fino ai denti, non seppero fare altro che sparare sulla folla che avanzava; ci sarebbe, quindi, forse da andare a ricercare i veri colpevoli e le ragioni delle terribili decisioni che spinsero il governo di Londra a “lavarsi le mani” del problema irlandese con questa leggerezza e mancanza di reale volontà di mettere la parola “pace” o “fine” a un problema troppo complicato da risolvere.
Queste dichiarazioni sono una spina nel fianco per l’amministrazione dell’Ulster, una macchia indelebile, e sono un altro piccolo passo in quella marcia che hanno tentato di arrestare il 30 gennaio 1972; un processo che guarda sempre più in avanti, per il riconoscimento di una giustizia vera per chi ha visto morire figli, padri, fratelli, sorelle per la libertà.
Francie Brolly, un caro amico di Pane Pace e Lavoro (membro del Sinn Fein erappresentante all’Assemblea del Nord Irlanda fino allo scorso autunno) aveva 32 anni quando salì, il 30 gennaio 1972, su quell’autobus che, dal piccolo centro di Dungiven, l’avrebbe portato a Derry, insieme alle altre migliaia di manifestanti, a rivendicare i loro diritti contro la discriminazione perpetrata dal governo e oggi, commosso, si sente di potere affermare al “Derry Journal” che: “avete sempre saputo che stavamo facendo qualcosa di scomodo con queste manifestazioni e che un giorno qualcuno ne avrebbe pagato il prezzo; ma nessuno avrebbe mai creduto che l’esercito inglese avrebbe aperto il fuoco su gente innocente. E’ duro da credere che abbiano fatto questo e, altrettanto difficile è accettare la terribile conseguenza di tutto ciò. Noi abbiamo vissuto le conseguenze di quest’atto per i successivi 30 anni (…) se avessero lasciato camminare la gente in marcia, forse avrebbe potuto cambiare l’intero corso della storia”.
Forse noi ricordiamo con più facilità le parole della canzone del gruppo irlandese U2, che oggi, guardando alla storia, ripensando alla lotta resistente di tanti che hanno dato la vita, si possono davvero gridare: “tonight, we can be as one, tonight…”