Togliamoci dall’indifferenza! Asseconderemo ancora chi ci sussurra di non preoccuparci “moralmente” troppo della ennesima tragedia di Lampedusa?
Che dignità conserviamo se non facciamo nulla, rimanendo inebetiti davanti alla disumanità, senza un giudizio limpido, trascinati dalla violenza che toglie la speranza del vivere?
La vergogna riconosciuta in queste settimane ed il permanere di leggi ingiuste che condannano alla solitudine migliaia di uomini che non appartengono a nessuno, la cui debolezza è oltraggiata dal potere da cui fuggono e da quello che dovrebbe soccorrerla, ci interpellano.
La solitudine più profonda, portatrice di queste morti, è generata dall’esperienza che i bisogni veri degli uomini non hanno risposta, che siamo diventati file di uomini, non comunità. Lunghe file di uomini che diventano troppo spesso file di bare.
Possiamo, ed abbiamo il dovere di agire.
Una prima azione è contrastare in ognuno di noi la mentalità della divisione, dell’esclusione, della morte. Il multiculturalismo è il terreno del nostro tempo, è la nostra possibilità di vita. E’ un clima culturale e sociale da costruire, rispettoso e dialogante, con diverse identità da mettere a confronto nelle nostre persone, nelle nostre case, nelle nostre comunità politiche. Ogni azione contraria che rende impossibile il contatto, la conoscenza e il rispetto dell’uomo devono impegnarci a una lotta di resistenza.
Possiamo sostenere, da cittadini liberi, le persone e le politiche che riconoscono una comune appartenenza, un riconoscersi insieme contro le infinite guerre, quelle guerreggiate e quelle dell’aparthaid delle coscienze; contro le persecuzioni mascherate da difesa; contro l’arroganza dei mercati che spadroneggiano, affamano i popoli, distruggono le economie e riforniscono di armi il terrorismo di ogni specie; contro l’imbroglio di una presunta laicità che è soltanto deserto e umiliazione dell’umano giacchè un uomo non può vivere senza un significato per la vita.
Dobbiamo non lasciarci ingannare dalla menzogna che non possiamo accogliere altri “perché non ci sono più soldi nemmeno per noi”. Esigiamo politiche economiche volte alla giustizia e non al profitto selvaggio, esigiamo politiche di cooperazione internazionale, esigiamo un’Europa dei diritti umani, esigiamo spazi di azione e finanziamenti per quanti operano concretamente a fianco degli uomini più bisognosi.
Noi crediamo possibili giustizia, unità e pace; esse rispondono a una necessità di amicizia contro la mentalità di violenza e di potere; una solidarietà che viene all’uomo dalla natura costitutiva del suo essere. Per non portare il seme di nuove ingiustizie occorre riconoscere una comune e grande interdipendenza umana, capace di quel salto qualitativo che fa optare per un inizio totalmente nuovo, un’opera di cambiamento dell’ordine finora esistente.
Abolire la disumanità del reato di clandestinità è solo il primo passo per renderci conto che non ci sarà pace per nessuno fino a quando non ci sarà pace per i poveri.
Pane Pace Lavoro, 19 ottobre 2013
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