Il ventre dello stato non è il cuore dei popoli

Negli ultimi anni la società ha subito un’ involuzione culturale e sociale che ci ha portato all’attuale stato di crollo di ogni certezza. Per l’uomo circondato dai tecnicismi esasperati la tecnica stessa è diventato l’unico vero dio. Su questo altare la pace, il pane e il lavoro vengono sacrificati in nome di un astratto pareggio di bilancio, di un valore finanziario che nulla ha a che vedere con i bisogni concreti della gente.
Viviamo in un Paese il cui Governo porta alla chiusura aziende e iniziative di singoli davanti a tasse impossibili e spropositate senza nemmeno riflettere sul fatto che il lavoratore che perderà il posto non potrà più, non solo vivere dignitosamente, ma nemmeno pagare quelle tanto “care” e agognate imposte che vanno a nutrire il ventre dello stato. Il tanto accreditato governo Monti, continuando il lavoro iniziato dai governi Berlusconi, sta trascinando il popolo su un baratro sociale e finanziario come non si vedeva dal dopoguerra. La crisi economica è ormai endemica di un sistema malato, sistema che consente a pochissimi esperti d’alta finanza di arricchirsi a dismisura ai danni di chi vive di economia reale. Lo stesso G20 messicano ha solamente sottolineato la stretta mortifera di pochi uomini sull’intera popolazione mondiale.
Che panorama abbiamo davanti?
Mentre gli Stati Uniti d’America riaffilano le sempre pronte armi e il sud del mondo muore di fame, la nostra cara Europa discute ancora di titoli di stato e inflazione. Corriamo verso una guerra tra Occidente al tramonto ed Oriente in espansione mentre ci raccontano delle vicende siriane solo nei titoli di coda dei telegiornali, sappiamo a stento cosa accade ai nostri fratelli greci e assolutamente nulla dei nostri amici africani o asiatici. La polveriera sociale è pronta ad esplodere a livello globale mentre l’attenzione dei media è tutta per spread e calciatori. Il termine “crisi” indica un cambiamento, un passaggio di stato ma spetta a noi impugnare questo cambiamento affinchè sia in meglio e non verso quel nulla di certezze se non altre globali guerre verso cui ci stanno portando.
Portiamo dunque avanti innanzitutto una vera rivoluzione culturale in cui l’atra persona, il collega di lavoro, il compagno di classe non sia un avversario nella corsa verso un improbabile posto fisso ma occasione di scoprirsi uniti nel realizzare nuove comunità di logica nuova. Alternativa alla crisi sociale e culturale che portano a quella economica può essere solo una reale solidarietà reciproca. Denunciamo che l’attuale stato di diffidenza e crollo di ogni certezza ha come uno sbocco già visto l’avvento di folli duci e sanguinose guerre. Scendere in piazza ed essere presenti nella società è ormai indispensabile poiché non protestare è approvare. Il ritorno a fare politica deve quindi essere il ritorno a una cultura di attenzione alla città e, soprattutto, ai cittadini, prioritari rispetto all’alta fasulla finanza. Occorre perciò sentirsi uomini e donne che lavorino per la pace sociale, il pane per tutti attraverso il lavoro.
Pane Pace Lavoro

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