Tanto tuonò che piovve. Martedì 3 dicembre la Corte costituzionale, dopo otto anni (certe decisioni devono essere meditate), ha dichiarato l’incostituzionalità del porcellum, o almeno dei suoi due punti squalificanti: il premio di maggioranza e il blocco delle liste. Il parlamento ha ora più o meno un mese per varare una nuova legge, oppure si dovrà votare con il porcellum stesso depurato di quei due punti, in pratica con il sistema proporzionale, nel quale i partiti vedono la rovina della patria. A questo punto si scopre anche la ragione profonda che li ha resi così affezionati al porcellum per tanti anni, e anche perché quella legge infelice sia stata battezzata con quel nome. Non perché sia stata una “porcata”, come si è potuto credere, ma perché, come il maiale suo eponimo, da vivo tutti lo vogliono morto ma da morto non si butta via niente.
Sorvoliamo sull’ipotesi catastrofica che il riconoscimento di incostituzionalità della legge renda di per sé irriti e nulli tutti gli atti che ne sono derivati, comprese un paio di tornate elettorali, e la stessa legittimità del parlamento tuttora in carica. Tale ipotesi si basa sul principio del “frutto dell’albero velenoso”, che si trova nel diritto americano ma non in quello italiano. Secondo tale principio, tutto ciò che si trova a valle di un atto illegale partecipa della sua illegalità. La derivazione dal peccato originale è piuttosto evidente, e non stupisce il fatto di trovarlo in un ordinamento giuridico nato in ambiente protestante. In realtà la sua applicazione incontra due ostacoli di fondo. Il primo è la difficoltà di identificare la relazione causa/effetto in situazioni complesse e protrattesi nel tempo. Il secondo è quello che in fisica si chiama secondo principio di termodinamica, ossia l’esistenza di processi non reversibili. In parole povere, se tagli una gamba ad una persona in preda alla cancrena, le salvi la vita ma la gamba non ricresce. E questo vale, purtroppo, anche nella vita dei popoli: la polizia può arrestare un serial killer e il giudice lo può mandare all’ergastolo o anche sulla sedia elettrica, ma le sue vittime, purtroppo, non risuscitano.
Più interessante, naturalmente, è la questione inerente a quale nuova legge potrebbe sostituire il defunto porcellum. È infatti evidente che ciò che la Corte ha condannato nel porcellum è precisamente ciò che ai partiti piaceva di più: il controllo sui deputati e il trucco per avere una maggioranza precostituita. Rimettere in vigore questi istituti rimane ovviamente lo scopo supremo, ma ora, con i paletti che vi ha posto la Corte, l’operazione è certamente più difficile. Naturalmente ci si potrebbe chiedere come mai la Germania, con la proporzionale quasi pura, tiri avanti così bene, Con l’idea (che può venire solo ai barbari) che il bene della patria è il bene di tutti? Ai bischeri l’ardua sentenza. Cavour soleva dire (quando ancora si dovevano trovare giustificazioni al sistema rappresentativo) che, se il popolo è diviso, è meglio che le divisioni vengano alla luce del sole, cioè in parlamento, piuttosto che lavorare sott’acqua. Altri tempi. Oggi prevale l’idea che le elezioni servano non a “fotografare il paese” ma a mettere in piedi un governo capace di governare, anche se non è tanto rappresentativo (un discorso già sentito in altre circostanze e che in definitiva si riallaccia all’idea, pure abbastanza antica nonché condita in molte salse, che la democrazia è una cosa troppo importante per essere lasciata al popolo). Stando così le cose e senza preoccuparci più che tanto della coerenza teoretica, sul piano pratico le elezioni a doppio turno alla francese potrebbero tutto sommato essere ancora una soluzione, se non altro perché non garantiscono in partenza maggioranze prefabbricate e obbligano a un dibattito abbastanza ampio e relativamente approfondito. Ma questo, per i prìncipi che ci governano, è un pregio o un difetto? (a.g.)
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