L’Egitto in bilico

egittoDalle cosiddette “primavere arabe” una cosa abbiamo imparato: il nostro metro di giudizio è lacunoso. Prendiamo abbagli. Leggiamo  la storia altrui con schemi inadeguati.
Ad un  anno dalla nascita dei suo governo, Mohamed Morsi, il leader vincitore delle elezioni seguite alla caduta di Hosni Mubarak, è stato destituito con atto di forza da parte delle Forze Armate. Un golpe. Tuttavia questo è stato salutato dall’esultanza della folla nella stessa piazza su cui Morsi basò la sua ascesa al potere.
Ci vogliono umiltà e prudenza nel giudicare l’inquieta nazione egiziana e il pendolo – che almeno a noi appare tale – degli umori popolari. Certo è che l’islam radicale che aveva permeato le rivolte arabe segna, al Cairo, un punto d’arresto. Il partito dei Fratelli musulmani, fortemente radicato socialmente e per questo vincitore delle elezioni, alla prova del governo ha fallito. Morsi ha ragione a dire che lui era Presidente per mandato popolare, ma non può ignorare che contro di lui a piazza Tahrir ha inveito proprio il popolo che lui avrebbe dovuto rappresentare.
Ora in Egitto c’è un governo provvisorio, retto dal Presidente della Corte Suprema per investitura dei Generali. La Costituzione è sospesa e dovranno essere indette nuove elezioni.
La comunità internazionale auspica il rientro rapido in un corretto sistema di regole. Però, di fatto, dopo gli incidenti tra le opposte fazioni e i morti in piazza, ha approvato il Golpe. 
Inutile negare: tra le possibili evoluzioni della situazione interna dell’Egitto c’è anche quella della guerra civile. Morsi si è  detto pronto a resistere fino alla morte e con lui i Fratelli musulmani dichiarano che non accetteranno passivamente quanto accaduto. I generali, protagonisti dell’atto di forza, a loro volta comunicano che “in difesa del popolo” i soldati sono pronti a morire.
Il bilico egiziano è in equilibrio più che mai precario.
Una riflessione su questi fatti non può tuttavia limitarsi – come non lo fu la caduta di Mubarak – alla situazione interna alla più popolosa nazione araba.
Una prima considerazione: l’ascesa dei Fratelli musulmani alla guida dell’Egitto fu anche il fattore che, prima a Bengasi poi fino a Tripoli, alimentò la rivolta contro Gheddafi e la sua caduta. Oggi la Libia è in situazione di stallo. A oltre un anno dalla morte del dittatore,  il governo provvisorio di Tripoli non è riuscito a predisporre né  la legge elettorale, né una Costituzione democratica.
Con il pendolo che al Cairo torna in direzione delle forze militari – le stesse già potenti al tempo di Mubarak – la penetrazione del fondamentalismo salafita dal Mashreq verso il Maghreb potrebbe cessare, o perlomeno ridursi, e rimettersi in moto anche l’insostenibile situazione libica.
Perfino la guerra civile in Siria potrebbe prendere nuove strade. Non a caso Bashar al Assad è stato tra i primi a rallegrarsi (questa volta in sintonia con l’Occidente) dei cambiamenti egiziani, plaudendo alla cultura “panaraba” del popolo. Il panarabismo, nato ai tempi di Nasser sull’asse Egitto-Siria, era ciò che le “primavere arabe” avevano cancellato. Ora al Assad nutre di nuovo un’improbabile speranza.
Anche Israele ha di che rallegrarsi. A Tel Aviv nessuno ha dimenticato che sotto il governo Morsi per la prima volta fu autorizzato il transito dal Canale di Suez di una nave da guerra iraniana, sempre negato dal dittatore Mubarak.
Intanto, dobbiamo registrare altri fatti. Una settimana fa l’Emiro del Qatar – notoriamente sostenitore delle rivolte arabe – ha abdicato a favore del figlio. Il nuovo Emiro non ha perso tempo: ha cambiato in pochi giorni i vertici del Fondo sovrano, che era il Bancomat degli insorti.
Se dal Cairo qualcuno cercherà i vecchi finanziatori troverà altri al loro posto. I generali egiziani lo hanno ben considerato quando hanno deciso, mentre mettevano agli arresti Mohamed Morsi e imprigionavano alcune centinaia di Fratelli Musulmani, di mettere in guardina anche gli uomini di Al Jazzera, la Tv del Qatar che a suo tempo sostenne la “primavera” di piazza Tahrir.
Umiltà e prudenza sono d’obbligo, ma il pendolo egiziano trascina con se anche i restanti equilibri mediterranei. Attorno alla Grande Scacchiera del mondo, oltre le folle di insorti e i tumulti di piazza con morti e feriti, tutti gli attori geopolitici sono di nuovo all’opera.

Gian Guido Folloni, 5 luglio 2013

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