La libertà di stampa è una garanzia democratica. Dovrebbe essere un quarto potere, autonomo e con sufficiente distanza critica, capace di raccontare la vita della gente e la realtà che essa vive. Ma in Italia assistiamo allo spregio di questa garanzia perché la stampa, sempre più, è usata come strumento di consenso per le battaglie dei poteri che si combattono nel disprezzo della povera gente.
Pensiamo al tema dell’immigrazione, alla realtà dell’Aquila terremotata, al tema del lavoro e della scuola.
Un premier editore è un orrore giuridico e politico.
La stampa da lui controllata, compresa gran parte di quella pubblica, detta i temi e i tempi della discussione, e quella apparentemente meno legata cerca di ribattere colpo su colpo, ma stando inesorabilmente al gioco.
Così si spacciano per “opinione pubblica” ciò che pensa il governo, per “dibattito pubblico” inchieste prezzolate e mirate a diffamare più che a informare, per “libertà di stampa” vere e proprie operazioni di totale disinformazione.
Stare nel solco dei temi che distraggono dalla realtà (le case e le ville, le ragazze di facili costumi, le vicende private dei politicanti) è fare il gioco del potere, anche quando un giornalista si pone, in apparenza, come suo oppositore.
Bisogna tornare alla “notizia”, al legame con il tema della “novità”, della ricerca appassionata del vero a qualunque costo, a figure memorabili che, in un passato ormai remoto, dedicavano la vita alla ricerca del fatto e lo andavano a cercare nella realtà della vita della gente.
Oggi invece comode “fonti” portano le informative sugli schermi dei computer delle redazioni, comode per chi le deve trattare e, soprattutto, per chi le mette nel circuito mediatico.
Tolta alla libertà di stampa la propria forza, l’uso che se fa non è di informare e fare dialogare, ma fare perdere tempo in inutili e vane discussioni per coprire, come in una nebbia mediatica, la realtà con i suoi drammi che, se resi noti, metterebbero in evidenza la prepotenza del potere che non si occupa minimamente dei problemi delle persone, ma solo di perpetuare se stesso, in una danza macabra sull’orlo del precipizio.
Il PPL denuncia questa grave realtà e propone di ritrovarsi in gruppi di persone, desiderose di conoscersi e confrontarsi, per discutere, sì, ma anche raccontare fatti, iniziative, gesti di amicizia e esperienze di compagnia: costruire anche piccole ma significative esperienze di umanità, aiuto e attenzione tra le persone, tra noi che viviamo questo tempo e abitiamo questo spazio. Concreti, non televisivi.