Le tristi vicende della Grecia hanno indotto almeno a qualche riflessione sul concetto di sovranità, non solo monetaria? In sostanza, la Grecia non dovrebbe pagare i suoi debiti se, invece dell’euro, avesse la dracma? Molte cose che sono state dette rispecchiano una deplorevole mancanza di considerazione di alcuni princìpi fondamentali. Si è detto “pacta sunt servanda”: quindi i debiti si debbono pagare. Altri hanno detto che uno stato sovrano non è tenuto a pagarli se il bene della patria lo richiede: “salus populi suprema lex esto”. In realtà la prevalenza dell’uno o dell’altro principio dipende essenzialmente dai rapporti di forza nei casi specifici. Un creditore riesce sempre, più o meno, in un modo o nell’altro, a farsi pagare, se si trova in una posizione di forza rispetto al debitore. Al contrario, il debitore può riuscire a non pagare se per altri versi è più forte del creditore. Nel passato questo è sempre stato il caso ordinario dei privati che hanno fatto credito ai principi – come i Templari al re di Francia o i banchieri fiorentini al re d’Inghilterra. C’è molto di vero nella frase attribuita al romano Camillo riguardante il valore relativo del ferro e dell’oro. Certo, il ferro si compra anche con l’oro; perciò bisogna fare i conti con la dovuta attenzione. Però, in ultima analisi, il ferro prevale sull’oro. Purché ci sia e possa essere impiegato con la necessaria energia. Questo, in ogni caso, vale anche per la sovranità nazionale: un paese debole non è mai veramente sovrano. In teoria può scegliere se far fronte ai propri impegni anche a prezzo di gravissimi sacrifici oppure affrontare uno scontro – per esempio una guerra commerciale – che potrebbe anche finir male o semplicemente venire a costare di più che pagare il debito, ma in realtà si tratta di una scelta “sovrana” solo per modo di dire. Accettare il male minore è un atto di saggezza, non di sovranità.
Del resto, che cos’è un debito? Qualcosa che si “deve” a qualcun altro. “Debito” e “dovere” hanno lo stesso etimo. Di solito, ai nostri tempi, i debiti vengono espressi in moneta. Ma che cos’è la moneta? Un riconoscimento di debito che qualcun altro accetta in cambio di qualcosa; quindi se non è zuppa è pan bagnato. Ciò che conferisce valore alla moneta è la sua capacità di essere accettata più facilmente e da una quantità di persone maggiore di quella che accetterebbe, per esempio, la semplice parola del debitore. Questo significa che una qualsiasi moneta vale quanto vale la firma di chi la ha emessa. Questo, però, non significa solo la volontà e la capacità dell’emittente di convertirla, se del caso, in beni reali. In realtà l’istituto di emissione non lo faceva quasi mai direttamente, nemmeno ai tempi della cosiddetta parità aurea. L’adempimento viene in pratica esercitato dando a chi paga in moneta una certa sicurezza che quella moneta sarà accettata dagli altri operatori come titolo liberatorio, e questa garanzia la dà il potere: nei casi limite si chiama “corso forzoso”, ma anche quando non si arriva agli estremi, la minaccia è sempre sullo sfondo: la garanzia ultima è il ferro, non l’oro.
Naturalmente, la sovranità incorpora il diritto di battere moneta. Ma se la sovranità non è illimitata (e non lo è quasi mai) altrettanto limitato risulta il diritto di battere moneta. Qualche giochetto si può anche fare (lo diceva già l’abate Galiani, meno severo di Dante) ma i rischi e i limiti delle operazioni relative (è sempre Galiani che parla) sono molto forti. La moneta cattiva scaccia la buona, e quando è proprio molto cattiva nessuno la prende più. La si può imporre? Sì, almeno a qualcuno e per tempi limitati, se c’è la forza, con il che si ritorna al primato del ferro. Se poi la forza non c’è, la sola cosa che si può battere è la ritirata. Il “velo monetario”, come tutti i veli, può essere affascinante. Alimenta la fantasia, soprattutto quando quello che copre non è poi tanto fascinoso – o non c’è del tutto. Alla fine, però, quelli che decidono l’esito della partita sono i rapporti di forza reali. Per “rapporti di forza” non si intendono necessariamente i cannoni, possono essere (si fa per dire ) il costo del lavoro per unità di prodotto o il rapporto tra popolazione attiva e totale della popolazione (per inciso: è il lavoro che fa salire il Pil, non il Pil che fa salire il lavoro). La gamma delle combinazioni possibili nell’economia reale è molto vasta. Tali combinazioni hanno però tutte un denominatore comune: devono essere, per l’appunto, reali, non immaginarie, altrimenti se ne vanno, come bolle di sapone, il tipo di bolle più frequente, anche se sono quelle delle quali si parla meno. (a.g.)
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