Un cinese per amico

di Gian Guido Folloni

La Cina ha superato di slancio il Giappone e si prepara a sbaragliare anche l’America. E’ toccato ad Obama l’ingrato compito di trangugiare l’amaro calice. Si è aperto il secolo cinese e bisogna spiegarlo agli americani.
Il presidente della Cina, la nazione più popolosa, più produttiva, con il più alto tasso di crescita del Pil del mondo, ha incontrato il presidente degli USA, la nazione che ha alle sue spalle la storia di maggiore superpotenza d’ogni epoca passata. Forse solo i romani, nel periodo imperiale ebbero un analogo potere sul mondo, ovviamente quello conosciuto ai loro tempi.
Dopo la fine dell’URSS, militarmente l’America di Obama è l’unica superpotenza. Il secolo appena trascorso è segnato dal suo dominio in tutti i campi: mercato di riferimento, luogo d’eccellenza assoluta per la ricerca e la tecnologia, con una valuta, il dollaro da quasi un secolo padrone dei commerci e della finanza internazionali. Un impero.

Eppure l’impero scricchiola. Oggi l’America è la nazione più indebitata al mondo. Ha solo un quinto degli abitanti della Cina, ma consuma più del doppio. Consuma ed inquina. Ogni americano vive, di fatto, sopra le sue reali possibilità. Si è abituato a questo tenore di vita e sa che questo straordinario benessere non potrà essere mantenuto per i suoi figli. Per la prima volta nella loro storia le nuove generazioni americane hanno consapevolezza che saranno loro offerte meno possibilità di quelle che hanno avuto i loro padri. L’America è un impero a debito.
Il XX° secolo è stato americano, il XXI° sarà cinese.
I due presidenti si sono incontrati convinti che la transizione dal vecchio mondo a guida occidentale a quello nuovo a predominio asiatico è in atto. Sapendo che il cambiamento produrrà scosse e tensioni in ogni angolo del pianeta si sono guardati negli occhi per capire come traversare questo rovesciamento degli equilibri internazionali con il miglior vantaggio o almeno il minor danno per le rispettive nazioni.
La grande crisi finanziaria ed economica che da due anni travaglia il mondo intero altro non è che parte della transizione geopolitica in atto. Come in un grande cataclisma lo scontrarsi delle placche continentali porta a terremoti, con le scosse primarie e d’assestamento, le crisi finanziarie che si susseguono stanno portando, crisi dopo crisi, la loro spinta verso gli equilibri della nuova Era.
Tramontata l’epoca del G8, il club esclusivo attraverso il quale i pochi “ricchi” governavano i molti “poveri”, si sono aperti gli sguardi verso la nuova cabina di regia. Agli otto si sono aggiunti i cosiddetti paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina). Poi ha iniziato ad operare il formato a 20 paesi.  Ma l’incontro a Washington dei due presidenti dimostra – per i contenuti resi noti e per la simbologia dell’evento trasmessa dai media dei due paesi – che, quale che sarà il formato che assumerà la nuova governance internazionale, al suo interno è in atto un asse strategico, il G2, che lega le sponde del Pacifico.
La nascita di quest’intesa è stata riportata con grand’evidenza dai media delle due nazioni. Quelli cinesi hanno usato toni trionfalistici: “grande successo”, “una nuova civiltà politica”, “uno storico colpo da maestro nella diplomazia tra Cina e Usa con un significato globale”. La televisione statale Cctv ha coperto a tappeto le attività del presidente Hu negli USA, dedicandogli ore di trasmissione. Un’enfasi che fa da riscontro alle convinzioni di molti opinionisti che il bilancio positivo penda più dalla parte di Pechino che da quella Americana.
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