di Aldo Giobbio
A coloro che oggi si chiedono che cosa succederà al senatore Mario Monti una volta superata l’emergenza, senza scomodare l’antico adagio “historia magistra vitae” potrà essere di qualche interesse sapere che cosa accadde, 67 anni fa, ad una persona che aveva bene meritato dalla patria, con la quale Monti presenta qualche analogia. Non credo che oggi siano in molti a sapere chi era Alfredo Pizzoni (1894-1958), presidente del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, anche se ci sono almeno un paio di libri abbastanza disponibili e degni di fede: la biografia scritta da Tommaso Piffer (“Il banchiere della Resistenza”, Mondadori, 2005) e le sue stesse memorie (“Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli”), pubblicate dal Mulino nel 1995 con introduzione di Renzo De Felice. Perché parlo di analogie? Perché anche lui venne messo a quel posto di comando, oltre che per le sue capacità, perché non era legato a nessun partito. Proveniva dal mondo bancario (Credito Italiano), era poliglotta, conosceva l’Europa, aveva una certa dimestichezza con la mentalità anglosassone, godeva della stima degli alleati e la sua reputazione di onestà era tale che, dopo gli accordi del dicembre 1944, quando il governo del Sud si trovò a dover mandare alla Resistenza certe somme di denaro che in linea di principio la Banca d’Italia avrebbe dovuto trasferire al Nord ma per le quali non poteva far pervenire agli sportelli periferici i mandati relativi, perché l’Italia era spaccata in due, il problema fu risolto nel senso che le banche del Nord accettarono di anticipare le somme in questione personalmente a Pizzoni, avendo come unica pezza giustificativa la sua parola.
Alfredo Pizzoni venne defenestrato il 27 aprile 1945, perché non serviva più. I partiti che componevano il CLN non avevano più bisogno (o ritenevano di non averne) di un dirigente capace di reperire con le buone i soldi necessari e non vedevano con simpatia che fosse ben visto dagli alleati (tanto la guerra era finita). Temevano anche, secondo una certa logica, che potesse diventare presidente del Consiglio nell’Italia liberata. Pizzoni non andò a chiedere l’elemosina. Finì i suoi giorni come presidente del Credito Italiano, ma non ebbe più alcun ruolo politico. Gli stessi partiti fecero poi del loro meglio per togliere di mezzo, fra i loro stessi iscritti, quelli che avevano avuto posizioni di rilievo nella Resistenza, e generalmente vi riuscirono in tempi relativamente brevi. Quello di Pizzoni, tuttavia, rimane un record che forse non sarà mai eguagliato. Persino Parri riuscì a resistere qualche mese.