Uscire dalla crisi è fermare la guerra

Intervento in occasione della consegna del premio Nobel per la pace
Siamo da tempo sull’orlo del precipizio a causa di una politica e un’economia interne che ci hanno fatto dimenticare di essere parte di un mondo intero, un mondo martoriato dagli stessi drammi che noi oggi ci troviamo ad affrontare dopo la fine, tanto agognata, del governo Berlusconi.
Siamo italiani, ma la Pace e il Lavoro sono diritti di tutti e per tutti. Non ci è permesso rinchiuderci nell’orrida prospettiva dei soli interessi individuali nazionali. Ma come pensare di uscire dall’attuale baratro economico con i vecchi schemi? Come credere ancora che la guerra, in tutte le sue crudeli forme, sia una via possibile? Davanti a questo dirompente sviluppo storico è più realistico, più giusto, più umanamente sostenibile, cercare soluzioni nuove piuttosto che arroccarsi nei vecchi modelli economici; modelli che hanno dimostrato di alimentare solo l’oppressione delle popolazioni più deboli e cicliche depressioni.
L’intero Corno d’Africa è alla fame, sotto l’egida di un nuovo colonialismo mascherato. In Siria il Governo da mesi affoga la rivolta sociale nel sangue, gli interventi internazionali e della Lega Araba rimangono inascoltati e i morti sono già più di 3000, l’ombra di una possibile guerra in Iran cerca di passare nell’indifferenza come sufficientemente lontana.
Condanniamo, a oriente come ad occidente, ogni “programma nucleare”, la ricerca e il mantenimento di un’ arma che può riportare l’uomo all’età della pietra in pochi attimi, ma, contemporaneamente, ci chiediamo chi possa decidere a chi spetta il possesso dell’arma atomica. Dove e come viene deciso qual è lo “Stato Canaglia”? Con quale diritto l’uomo può diventare, ancora una volta, lupo per il suo simile?
Riportare le Nazioni Unite alle proprie funzioni mediatrici e diplomatiche originarie sembra oggi l’unica via possibile. Anche noi, Italiani, sappiamo che per ricostruire questo Paese dalle ceneri su cui l’ha lasciato il berlusconismo dobbiamo guardare oltre i nostri confini. Solo una distribuzione vera della ricchezza, la fine di ogni colonialismo, e, in sintesi, la pace tra gli uomini, possono metterci nelle condizioni di guardare a un’economia nuova, realmente a misura d’uomo.
Oggi, in occasione della consegna del Premio Nobel per la pace significativamente assegnato a tre donne africane, ripetiamo che dobbiamo uscire dalla violenza insita nell’egoismo, nel perbenismo, nell’indifferenza in cui la nostra tanto proclamata “civiltà occidentale” ci ha trascinato. Per farlo concretamente, chiediamo alla politica internazionale di ripartire da queste tre parole: Pane Pace e Lavoro.
Pane Pace Lavoro 10.12.2011