L’11 settembre 2001 è entrato nella storia come l’inizio dei tragici massacri che stanno insanguinando ogni angolo del mondo tanto da far giustamente parlare di terza guerra mondiale.
La catastrofica condizione umana che viviamo mette in risalto l’odio che cova da secoli tra popoli che non sanno riconoscersi fratelli e l’arroganza del potere con la sua incapacità di salvare l’uomo.
La logica dell’ingiustizia e della violenza, che ha generato quella giornata e che è stata perseguita come risposta vendicativa a quell’orribile fatto, non può che distruggere le persone e la loro convivenza, come gli anni che sono seguiti hanno drammaticamente dimostrato.
Oggi, mentre doverosamente vogliamo fare memoria dei morti dell’11 settembre 2001, dobbiamo rivolgerci a tutti coloro che stanno pagando le conseguenze dirette del progetto omicida che l’amministrazione Bush, con l’appoggio di buona parte dell’Occidente, ha realizzato in Medio Oriente.
La migrazione più imponente della storia verso l’Europa del benessere pone una domanda ultimativa alle democrazie del vecchio continente: la politica può emarginare il dolore, la miseria, la sofferenza di ogni uomo sacrificando tutto alla logica del mercato e di una miope visione del mondo ristretta ai confini nazionali?
Le migliaia di profughi che riescono a raggiungere le nostre coste, e, con loro, tutti coloro che sono morti nella disperata ricerca di una felicità possibile, ci obbligano ad abbandonare la paura razziale e l’egoismo nazionalista, che pure molti politici nostrani stanno alimentando, per affrontare decisamente la prospettiva di una politica diversa. Una politica diversamente orientata verso un piano di coesistenza mondiale che superi la logica della corsa al benessere sempre più alto; dei garantiti sulla pelle dei senza diritti; della espropriazione di ogni risorsa ad alcuni popoli a solo vantaggio della perfezione tecnologica e del confort dell’Occidente; dell’esportazione della democrazia a misura della Troika; della logica della prevaricazione e della vendetta. Una politica che sappia affrontare il bisogno di un salto qualitativo nella dimensione umana stessa di fronte alle necessità di vita di un popolo che è diventato il popolo unico di questa nostra “casa comune” che è la Terra.
Ognuno dovrà interrogarsi, almeno finchè potremo votare, per denunciare la costruzione dei muri che stanno sorgendo su troppe frontiere, che non sono altro che atti di guerra; il commercio delle armi che alimentano il terrorismo, l’insufficienza degli aiuti per ricostruire i Paesi da cui popoli disperati si allontanano con immane sofferenza, l’avvio di una politica della solidarietà e della misericordia che possa porre fine alla distanza tra le persone, così da soccorrere concretamente chi chiede aiuto perché tutto si è lasciato alle spalle, e scongiurare imprevedibili prossime prospettive future.
Non è cosa impossibile, è decisione da prendere.
PANE PACE LAVORO continuerà a diffondere questa richiesta, nel rifiuto della guerra e dell’intolleranza, nella denuncia di ogni tipo di ingiustizia, e chiedendo che più persone tornino ad aggregarsi per assumersi la responsabilità della gestione del bene comune.
11 settembre 2015
Vivere, cioè condividere
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