Tempo fa, quando Presidente del Consiglio fu nominato Carlo Azeglio Ciampi, successivamente eletto Presidente della Repubblica, un quotidiano titolò: “Il potere al potere”. Con ciò si intendeva, crediamo di poter dire, che il già Governatore della banca d’Italia portava nel cuore della vita istituzionale rapporti e interessi ampi e allo stesso tempo profondi con il mondo economico e finanziario. Una coincidenza di “rappresentanze” che non poteva che preoccupare la gente cosiddetta “comune”; quella, per intenderci, che subisce sempre, paga sempre (e va anche bene – si fa per dire – finché paga in termini economici, visto che, a volte, il prezzo è la dignità e la stessa vita), è sempre assoggettata alle leggi e alle sanzioni. E che non è rappresentata da nessuno.
Il “berlusconismo” ha poi reso squallidamente pubblico il basso profilo di questa coincidenza di rappresentanze (quelle “forti”, capaci di sopravvivere a conflitti di interesse evidenti) e del suo totale disinteresse per i problemi delle persone, delle famiglie, dei corpi intermedi della società, tanto da fare scempio dei principi costituzionali e introdurre nel nostro ordinamento nuovi orrori come le leggi ad personam.
La politica (quella che si interessa della polis, della città e delle persone) è stata allontanata dalle istituzioni e si è preparato un terreno o, meglio, un deserto in cui si è insediata, da un anno in modo aperto e evidente, la Tecnica.
In nome di esigenze dettate dalla globalizzazione finanziaria ed economica (radice allo stesso tempo della crisi mondiale che sta colpendo milioni di donne e uomini privandoli del lavoro e dei diritti fino a ieri dati per acquisiti) il Governo Tecnico è strumento di un paradosso: chi detta le regole del gioco è chi ha lo ha distrutto. La cosiddetta “grande finanza” ha distrutto l’economia e il lavoro e ora, tramite la “tecnica”, detta le regole per “riformare” economia e lavoro, ma nessuno osa fissare regole alla finanza. Infatti, si dice, non si possono applicare le tasse alle rendite finanziarie in Italia se lo stesso non si fa in Francia, perché si creerebbero delle differenze che porterebbero gli investitori a preferire un paese rispetto all’altro. Ma non siamo nell’era della globalizzazione? Non stiamo così giustificando chi sceglie di investire dove non ci sono controlli? Non si chiamavano, una volta, questi “paradisi fiscali”? Lorsignori sono così abituati a fare quello che vogliono che non si rendono conto di quanto siano spregiudicatamente ridicoli. E questo paradosso (fissare regole a tutti, ad eccezione di chi sta rovinando il mondo) il Governo lo attua procedendo per mezzo di decreti che il simulacro del Parlamento non può che approvare. Ci sarà anche del vero nella proclamata necessità di “salvare” l’Italia dal baratro, ma il consenso al Governo si caratterizza in un fideismo irragionevolmente basato su esigenze di pochi, che dunque non nascono dal basso, dalla gente, ma dall’alto, dalla finanza. Tanto che il peso della crisi non viene egualmente ripartito, ma grava esclusivamente sui poveri (il povero è l’uomo nobile, che vive del proprio lavoro, per intenderci) e sui miseri (coloro che sono stati privati di ogni possibilità).
La Tecnica si basa su presunti dogmi, come la fine della politica, l’inutilità della democrazia e la riscoperta capacità di governo dell’oligarchia, che dobbiamo contrastare facendo pieno uso della ragione e dell’azione.
La parola è, in questa realistica (la realtà ce lo chiede e urge) azione (nella realtà di tutti i giorni possiamo, se vogliamo, essere una presenza nuova) di resistenza, uno strumento formidabile: scegliamo le parole con cui comunichiamo noi stessi e il nostro giudizio, trattiamoci con la dignità che ci è dovuta e ci riconosciamo, non scadiamo nell’ovvio televisivo, mettiamoci insieme in vista di un’azione sociale e politica, come, per esempio, restando in mezzo alla gente, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, in famiglia, radicando l’azione a partire dalle esigenze profondamente ospitate in ogni uomo, quelle che riassumiamo nel pane, nella pace e nel lavoro.
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