Parlare di Europa oggi evoca immediatamente l’immagine di regole, sacrifici, banca centrale e aparthaid tra ricchi e poveri.
Ma è questa l’Europa che vogliamo?
Noi oggi, che viviamo in questa Italia, ci chiediamo dove la follia partitica prima e il tecnicismo esasperato di oggi ci stiano portando. Giornali e televisioni raccontano continuamente della necessità di cedere diritti per salvare un sistema economico malato e ingiusto.
La Comunità Europea si è trasformata, da grande occasione culturale, politica e sociale, a dittatura economica con regole fissate da ricchissimi ministri che ignorano la situazione di vita del loro popolo. Costoro ci stanno prospettando un’Unione Europea dettata da speculatori che puntano sulla bancarotta degli Stati per governarne la politica. Il primo risultato stanno ottenendolo in Grecia, patria dell’idea stessa di cultura occidentale. Questa strada può debordare facilmente verso forme sempre più autoritarie di gestione del potere giacchè i cittadini sono estranei alle scelte che li riguardano.
Oggi vogliamo dunque ripetere che fine della politica e delle istituzioni non è il denaro ma l’uomo. Le stesse azioni di chi governa non possono essere intese in altro modo che in base al rispetto dei diritti oggettivi e inviolabili dell’uomo. Siamo contrari alla grande omologazione verso standard decisi sulla pelle dei paesi più poveri del mondo. Lo sviluppo europeo non può reggersi sullo sfruttamento, non vogliamo che passi il criterio che sia giusto che la crescita delle nuove potenze mondiali, fatta abusando dei diritti dei propri cittadini, sia un modello da seguire ammirati.
Oggi l’unica speranza cieca che ci propongono politici e media è quella di essere schiavi felici in un sistema nel quale il valore di una persona è proporzionale alle tasse che paga.
Vogliamo quindi ridestare l’attenzione su metodi e parole che ci vengono proposti come inevitabili e obbligatori. Chiediamo un’Europa dei diritti e della cittadinanza, sottratta alla dittatura dei mercati. Vogliamo che la politica e le istituzioni comincino a difendere il lavoro come dignità della persona e non come forza produttiva usa e getta. Ci chiediamo come fu possibile la ricorstruzzione alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in una situazione di estrema povertà e miseria, ripartendo dalla sanità e dall’istruzione che oggi la stessa Europa taglia: questi diritti fondamentali, insieme ai fondi per la cooperazione internazionale, devono poter segnare la via per un nuovo sviluppo e un nuovo rinascimento culturale. Non vogliamo un’Europa delle burocrazie e dei soli mercati, ma lottiamo per un’Europa che sia espressione delle identità che la costituiscono, capace di dialogo e di accoglienza verso tutti, capace di una prospettiva economica sullo scacchiere mondiale, con una propria proposta che non necessiti di avere sempre di fronte un nemico, uno stato canaglia o un clandestino da respingere, ma popoli e uomini e donne con cui condividere la costruzione di una società rispettosa dell’umano.
Pane Pace Lavoro. 17 marzo 2012
Foto della manifestazione
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