Da mesi sentiamo ormai notizie di morte dalla Siria e nuovi venti di guerra alzarsi verso l’Iran. Afghanistan, Iraq e lo stesso intervento in Libia raccontano ancora di vittime innocenti, di nuove ingiustizie sostituitesi alle vecchie. Non evadiamo il problema circa il bene e il male di queste guerre. Il potere, la mentalità dominante e comune ci dicono di non preoccuparci “moralmente” troppo; e ci incitano a ciò bombardandoci attraverso la televisione, la pubblicità e l’informazione controllata. I governi e le diplomazie (se sono governi e diplomazie di uomini) non devono essere complici di questo disinteresse; e, se anche lo sono, ogni uomo non può imitarli, ma deve mettersi difronte alla realtà; deve domandarsi e riflettere. L’evasione della domanda sul bene o sul male è diserzione dall’umano; l’uomo, così, si obbliga, a priori a chiudere gli occhi davanti alle contraddizioni del proprio male, aggrappandosi, per disperazione o per paura, a quel nulla cui si può anche cercare di dare il nome di “stato di diritto”, di “pace” o di “fratellanza universale”, ma che è, in realtà, il deserto umano, cioè il fondamentale disinteresse umano per l’altro uomo.
Certamente dove l’ingiustizia supera se stessa, come nei tantissimi genocidi attualmente in atto in tutto il mondo, deve nascere e diffondersi un moto di ribellione contro la miseria di chi opera per sopprimere. Se, sfuggendo la visione realistica dell’ingiustizia, rinunciamo a qualsiasi intervento, cediamo ancora al potere, lasciandogli spazio. Lasceremmo liberamente agire l’ingiustizia lasciandogli gridare, senza venire contraddetta, che la giustizia non abita nel cuore degli uomini.
Ma l’intervento deve essere proporzionato. E, per essere tale, deve cercare di fermare ciò che vuole combattere, cioè la violenza. Un intervento è legittimo se, nel farlo, esiste un’ansia vera di giustizia; allora, la ribellione della ragione e della volontà di fronte al calvario dei viventi nella storia includerebbe il desiderio che il proprio intervento eviti nuove amarezze e nuove violenze.
Inoltre i conflitti bellici creano l’orrenda ingiustizia di migliaia di persone ammassate come bestie (le chiamano “profughi ma sono persone umane) in mezzo al nulla in condizioni igieniche e sanitarie spaventose, inviando loro briciole in confronto ai miliardi di dollari, o euro, spesi per bombe e missili e, alla fine, deportandole con la forza in altri luoghi (le chiamano “deportati” ma sono persone umane).
Non c’è quindi da illudersi sul così detto “progresso”; c’è un selvaggio che dorme , sempre pronto a svegliarsi di soprassalto, anche nell’uomo più “evoluto”. A livello più tecnologicamente progredito, resta valido il detto “homo homini lupus”: l’uomo è un lupo per l’altro uomo. Ci sono ancora le guerre, gli olocausti, le barbarie e più di due terzi dell’umanità che non ha il minimo vitale; così il progresso del genio umano non fa altro che rendere sempre più portatori di morte i nostri ritorni periodici alle barbarie.
Ma oggi siamo qui per dire che l’uomo non è solo questo. La libertà non è uguale a zero. Occorre tentare, occorre difendersi, occorre impegnarsi, occorre costruire, occorre lottare. C’è un lavoro che ci aspetta nella stima e nella reciprocità: un lavoro educativo e culturale che contribuisca a formare uomini nuovi che entrino in politica per giustizia, verità e pace. Non serve continuare a disquisire o perdersi su giudizi particolaristici mentre il mondo va a fuoco e l’umanità è distrutta. Urge il tempo di lavorare insieme.
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