Addio, piccola orsa!

di Aldo Giobbio

“Un’orsa nei boschi trentini: / l’uccisero in mezzo alla pista; / reggeva coi denti un turista, /la cena dei suoi cucciolini”. Sarebbe già commovente così, o almeno lo sarebbe stato per il Pascoli, che a suo tempo trascurò del tutto il punto di vista del verme. Ma qui è mancata anche la giustificazione gastronomica. L’orsa del Trentino non ha attaccato il povero passeggiatore dei boschi con l’intenzione di mangiarselo. Non era un orso del Kamchatka e nemmeno un grizzly. Come tutti gli orsi delle nostre montagne era più o meno vegetariana, se non proprio vegana. Comunque non mangiava carne umana. Come ha detto a tutto suo onore la persona assalita, che non ha riportato ferite gravi e ha condannato l’uccisione, la supposta belva non aveva alcuna intenzione di uccidere. Voleva soltanto spaventare l’intruso (che a sua volta non aveva nessuna cattiva intenzione) e tenerlo lontano dai suoi cuccioli, secondo un comportamento consolidato del quale parla anche Salomone nei suoi Proverbi (ma chi li legge più?).

L’episodio appare anche più nauseoso in quanto l’animale apparteneva ad un specie protetta, che non viene importata in Italia allo scopo di ucciderla (come, per esempio, i fagiani o, almeno in alcune regioni, i cinghiali). Anzi, qualcuno si potrebbe chiedere come mai alcune specie, come anche il lupo, dalle quali l’homo italicus ha per secoli ritenuto necessario proteggersi, oggi siano loro che hanno bisogno di protezione. Ma perché farle venire apposta, ora che la loro buona stella le ha sottratte agli angeli sterminatori e il loro sano istinto le tiene lontane dai confini che hanno consacrato con il loro sangue? Certo il motivo per il quale le si vanno a cercare non è l’amore per gli animali, e nemmeno un certo compiacimento estetico, se non in quanto si pensa che possa giovare al turismo. Però, occhio al fucile…

In realtà, l’animalismo non è mai stato nel DNA degli italiani. Sì, abbiamo avuto san Francesco che parlava agli uccelli e, in almeno un caso, fece una trattativa sindacale (con esisto positivo) con un lupo, ma si tratta di episodi isolati. Del resto, Francesco d’Assisi aveva altri gusti – per esempio amava la povertà, non solo negli altri – che lo rivelano fuori del gioco. Francesco è il tipico personaggio del quale non si dice altro che bene, ottocento anni dopo la morte, ma che nessuno vorrebbe indietro. Certo, il rapporto con gli animali – anche degli animali fra di loro – non è un rapporto facile. In estrema sintesi, una bestia che non sia commestibile è un concorrente per le risorse, a meno che non sia utilizzabile per il lavoro o, a volte, per la difesa dell’ambiente, che però non è mai stata in cima alle nostre priorità. È significativa la difficoltà con la quale l’uomo europeo ha gestito il rapporto con le specie come bovini, equini, ovini, caprini utilizzabili sia per il lavoro (guerra compresa) sia per l’alimentazione. L’uso del cane a scopo commestibile, almeno in Europa, ha avuto carattere marginale grazie all’intelligenza e alla versatilità del bravo animale, che lo hanno reso un prezioso ausiliare dell’uomo in attività storicamente fondamentali come la caccia e la pastorizia – oltre che la difesa della proprietà – praticando le quali si è guadagnato il titolo di “amico dell’uomo”. Con tutto ciò, espressioni gergali come “ti ammazzo come un cane” sono rimaste a testimoniare nell’uomo una concezione dell’amicizia per lo meno singolare (del resto non si dice che “l’uomo è il miglior amico del cane”).

Se si guardano bene le cose, la povera orsa è solo un’orsa minore. Non si mangia, non lavora. Le si può trovare a volte un impiego come attrazione turistica, finché dura, finché non disturba e finché non viene a noia. Ma poi? Pam! Non si uccidono così anche i cavalli, che pure potrebbero vantare un dossier molto più ricco? (a.g.)

 

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