Sentenza pensioni: lo Stato deve restituire i soldi a milioni di pensionati
Cosa è successo
La recente sentenza della Corte costituzionale, resa pubblica lo scorso 30 aprile, rimette in discussione il blocco degli adeguamenti all’inflazione delle pensioni deciso dal governo Monti nel 2012 e 2013. A sollevare la questione di legittimità costituzionale sono stati il Tribunale di Palermo, la Corte dei Conti delle regioni di Emilia-Romagna e Liguria con diverse ordinanze. La sentenza della Corte, approvata con un solo voto di scarto (7 contro 6) potrebbe costare allo Stato una cifra di circa 16 miliardi, quasi quanto a una manovra finanziaria. Secondo la Corte, all’epoca dell’approvazione della riforma Fornero il governo Monti non fornì sufficienti “dettagli” sul perché era necessario sacrificare il diritto all’adeguamento all’inflazione di milioni di pensionati. Al riguardo non è la prima volta che la Corte interviene sulle pensioni. In questa giorni diversi giornali hanno ricordato che per ben due volte in passato la Corte aveva approvato i blocchi degli adeguamenti: una prima volta quando a farlo era stato il governo Prodi (nel 1998, per le pensioni cinque volte superiori al minimo) e poi, nel 2007, quando la stessa decisione venne presa dal governo Berlusconi (per le pensioni sette volte superiori al minimo). Nel 2012, invece, la Corte bocciò un altro provvedimento della riforma Fornero, il contributo di solidarietà imposto alle pensioni superiori ai 90 mila.
Quindi Per tutti coloro che percepiscono una pensione fino a tre volte il minimo Inps non cambia nulla perché il blocco non c’era e non ci sarà. La decisione della Corte obbliga il governo a restituire i soldi che spettavano – e che non sono stati dati a causa di un blocco giudicato oggi illegittimo – ai pensionati che percepiscono una pensione superiore tre volte al minimo Inps (cioè per chi prende poco meno di 1500 euro lordi al mese). Il blocco degli adeguamenti all’inflazione delle pensioni del 2012 e 2013 ha comportato una perdita che si trascina per sempre a circa 5,5 milioni di pensionati: niente aumenti moltiplicativi sugli adeguamenti all’inflazione delle pensioni.
Indicizzazione pensioni – Dal 1998 è in vigore un sistema che di norma prevede l’indicizzazione piena solo per le quote di pensioni più basse e una parziale per le quote superiori. In questo momento il meccanismo di indicizzazione in vigore è quello previsto dalla legge di Stabilità 2014, che applica per il triennio fino al 2016 le percentuali di perequazioni rimodulate della legge 488 del 1998: da zero a tre volte il minimo (1.486 euro lordi) il 100% dell’indicizzazione al costo vita; da 4 a 5 volte (1.981 euro) il 75%; da 5 a 6 volte (2.471 euro) il 50%; oltre sei volte (2.972 euro) il 40% per il 2014 e il 45% per il 2015 e 2016. Che cosa succederà nel 2017? Senza una diversa decisione del governo si tornerebbe alla vecchia indicizzazione standard, che è in vigore dal 2007, prima degli interventi di emergenza dei diversi Governi: indicizzazione al 100% del costo della vita sulla quota di pensione fino a 3 volte il trattamento minimo; 90% sulla quota di pensione compresa tra 3 e 5 volte il trattamento minimo; 75% sulla quota pensione superiore a 5 volte il minimo. In questo panorama il governo Monti, con la manovra «salva Italia 2011», ha bloccato la perequazione per le pensioni superiore a 3 volte il minimo per gli anni 2012 e 2013, indicizzando al 100% del costo vita solo le pensioni fino a 3 volte il minimo (1.406 euro mensili del 2012 e 1.443 del 2013).
I calcoli dei rimborsi “… possibili” – L’inflazione è stata rispettivamente dell’1,2% nel 2012 e del 3% nel 2013. Pertanto, dopo la sentenza della Corte le pensioni superiori tre volte al minimo Inps dovrebbero essere ricalcolate perché non sono state adeguate al costo della vita nel 2012 e 2013. Siamo responsabilmente consapevoli che le conseguenze di questa decisione sono di non poco conto per il bilancio pubblico.
Una tabella che simula l’importo degli arretrati al 30 giugno 2015 per pensioni da 1500 euro in su (le somme arretrate sono ovviamente al lordo delle trattenute fiscali). Ecco alcun i esempi – Il pensionato con assegno di 1.500 euro mese al 31 dicembre 2011 dovrebbe percepire 3.299,29 euro di arretrati calcolati a giugno 2015; con assegno di 1.800 euro mese 3.895,96 euro di arretrati; con assegno di 2.000 euro mese 4.288,85 euro di arretrati; con assegno di 2.200 euro mese 4.686,53 euro di arretrati; con assegno di 2.500 euro mese 5221,89 euro di arretrati; con assegno di 3.000 euro mese 6.030,53 euro di arretrati; e cosi via.
Considerazioni – Sarebbe troppo facile dire: “.ma noi l’avevamo detto… se i governi ci avessero consultato …” e cantare vittoria per la sentenza. E’ comunque positivo il fatto che la Corte abbia sancito quello che da tempo il sindacato sostiene: non si può far cassa a spese dei pensionati ricavando risorse da quanto loro è dovuto. Una seria riflessione, senza pregiudizi e campagne “elettorali” su questi problemi eviterebbe al nostro Paese questo continuo “fare e disfare leggi” che non giova certo alla credibilità dello Stato, ma soprattutto crea incertezza e sfiducia nei cittadini. In modo particolare tra gli anziani che vedono continuamente vacillare le loro speranze dopo i tanti sacrifici per cercare di garantirsi una vecchiaia “dignitosa” e un futuro per i figli.
Leave a comment