di Aldo Giobbio
Insomma, ci sono persone alle quali il bicameralismo non va proprio giù. Il referendum ha salvato il Senato. Allora, addosso. Se non lo si può distruggere, almeno svuotiamolo. I padri costituenti, autori di un altro prodotto – la Costituzione – la cui sopravvivenza è tollerata solo a patto che non la si usi, il Senato non se lo sono inventato. Lo hanno trovato. Questo, però, non significa che non potesse servire a qualcosa. Non è detto che il sistema del check and balance, nel quale Montesquieu faceva consistere la garanzia contro il dispotismo, richieda proprio le due camere. La sua essenza è che “il potere fermi il potere”. Quando Montesquieu rifletteva su queste cose, all’atto pratico si vedeva di fronte un sistema – quello inglese – che era bicamerale e nel quale una delle camere, quella dei Lords, non era nemmeno elettiva. Non importa. La cosa essenziale era che le due Camere – come anche la terza componente, ossia la monarchia – non avessero la stessa origine, altrimenti non ci sarebbe stata vera contrapposizione.
Naturalmente, in Italia, nel 1946-1947, la situazione era molto diversa. Non c’era più la monarchia e nemmeno c’era più una nobiltà ereditaria. Non c’era nemmeno un soggetto politico che in qualche modo le sostituisse. Nei paesi nei quali esisteva un sistema bicamerale, la seconda camera traeva la sua giustificazione dalla struttura federale dello stato. In effetti, la doppia rappresentanza presuppone una doppia sovranità, che in Italia non c’era. Sotto questo profilo, l’Italia poteva esprimere logicamente solo un sistema monocamerale. Anzi: un sistema che non poteva nemmeno ammettere la distinzione tra legislativo ed esecutivo, dal momento che il governo diventava necessariamente espressione dell’unica sovranità ancora esistente (in pratica doveva avere la fiducia dell’unica camera). E allora il Senato da dove saltò fuori? Dal fatto che i padri costituenti credevano nell’equilibrio dei poteri e cercavano di evitare il regime d’assemblea. Ma come? Evidentemente non potevano mantenere in vita il Senato di nomina regia, anche perché non c’era più il re. Il solo sovrano era il popolo e quindi qualsiasi consesso investito di potere legislativo doveva necessariamente ricevere dal popolo la sua investitura. Sì, ma come? La debole risposta fu di restringere l’elettorato attivo e passivo ad alcune fasce d’età, di adottare modalità di elezione un po’ diverse da quelle utilizzate per la Camera dei deputati e di attribuirgli una durata diversa (sei anni invece di cinque). Quest’ultimo accorgimento non fu mai messo in pratica; gli altri due sono stati utilizzati fino ad oggi e, per quanto insufficienti a conferirgli una fisionomia propria, hanno evitato la dittatura di camere elette nei modi più fantasiosi, porcellum compreso.
Ora si propone di eliminare anche queste piccole cose e di fare sì che il Senato, visto che non lo si può togliere di mezzo, venga eletto esattamente nello stesso modo della Camera dei deputati. Così, dopo aver detto e ripetuto che il Senato doveva essere soppresso perché era, più o meno, un doppione inutile, ora si vorrebbe che lo diventasse veramente: ma allora lo si voleva sopprimere perché era un doppione o perché non lo era del tutto? La questione investe le idee che si hanno in fatto di democrazia, stato di diritto, libertà costituzionali e così via. I parlamenti non sono stati inventati per garantire la cosiddetta governabilità ma la libertà dei cittadini, che non coincide con la mano libera al governo. I re assoluti governavano benissimo da soli; il solo problema che si ponesse era che, quando si profilava un contrasto tra la felicità dei governati e la loro, si preoccupavano di questa, e non di quella. I fedeli sudditi non erano sempre contenti ma, per quanto riguardava i re, il desiderio di questi non era di avere un parlamento asservito: era di non averlo del tutto. Poi c’è stata la Rivoluzione francese, ma chi se ne ricorda? (a.g.)
Be the first to comment on "Bicameralismo e governabilità"