Diritto di informare

A seguito delle tristi vicende che hanno innescato il caso Sallusti, il Parlamento ha iniziato le ormai consuete capriole nel tentativo di produrre, in tutta fretta, norme ad personam. Ma le numerose voci che si sono levate sugli ultimi sviluppi, inducono diverse vie di riflessione. Le percorreremo in diverse tappe, perché è in campo un’altra delle più importanti forme di libertà democratica.

Iniziamo da quello che ci pare il centro della questione, cioè dal concetto stesso di comunicazione fra gli uomini, scopo di ogni strumento e forma di informazione. Essa è ugualmente composta di notizie, che sono racconti di fatti, e di un universo di interpretazioni (commenti, opinioni, riflessioni filosofiche, sociali, ambientali….) che, interpretando i fatti, dovrebbero consentirci di capire.

Questo è il primo snodo: il capire per potersi mettere in comunicazione, in rapporto dialogico e consentirci così di rendersi complementari, estrarre il giusto e il buono, costruire un nuovo passo oltre quanto accade.

Costruire è capire le logiche che generano i fatti, giudicarle per accoglierne o rifiutarne le conseguenze, imparare, ascoltare e farsi ascoltare, vedere una strada da percorrere e una da abbandonare, riconoscere le comunanze che possono sostenere e ampliare l’azione.

La libertà cui ci riferiamo non è pertanto sull’inarrestabile circolazione di ogni notizia, idea, parola; è piuttosto la possibilità di tale comunicazione, capace, a nostro avviso, di ricostruire la civiltà entro la dissoluzione in cui siamo entrati.

Se scendiamo tanto in profondità è per lasciare il pantano di troppi media che, in nome di un diritto d’informazione, non sono che la cassa di risonanza di interessi forti che perseguono una volontà di dominio sull’altro e perciò sono inevitabilmente strumenti di conflitto e di babele. Il linguaggio, il tono e i contenuti di tale modalità di informare è stato il detonatore anche del caso Sallusti.

Ma già su questo ci sarebbe molto da dettagliare: la pluralità e il pluralismo dei media, il diritto di critica, la diffamazione, le sfide della globalizzazione, i pericoli e le potenzialità che i battages mediatici veicolano.

Torniamo al punto su cui ci siamo concentrati.

Niente più è definito a cominciare dal significato delle parole. La babele che nasce da un uso corrotto e strumentale del linguaggio è intenzionale perchè consente di intorpidire il brodo così da dare l’impressione che ognuno può vederla come vuole e così può aumentare la divisione e lo scontro.

I linguaggi sono espressione di universi culturali, sociali, religiosi, storici, territoriali. La distruzione delle identità porta con sé l’incapacità di portare parole chiare. Un’identità genera un’antropologia perché forma una coscienza e offre il metro per giudicare. La critica è un contenitore non uno sbrodolamento, spesso stizzoso. L’Occidente tutto, come l’Italia e l’Europa, hanno perso la capacità di creare cultura e quindi civiltà che sono il frutto dell’opera di tante, diverse, componenti identitarie. L’urlo arrogante e violento del fanatismo è rinvenibile ad ogni livello e si riversa sui mèdia che modellano il pensiero.

Per difendere la libertà di informazione, occorre tornare a questo lavoro di ricostruzione dell’umano che ci consentirà di comunicare e pazientemente costruire, con la partecipazione di molti “pensieri” maturi, e forti di una appartenenza, invece che urlati nella sola, inutile, ricerca di afferrare consensi. Molto ci offrono le cronache di questi giorni pre-elettorali.

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