L’ombra di Banquo

Non avesse avuto altri meriti, l’avventura politica di Mario Monti avrà avuto almeno quello di spingerci sempre più a fondo nella scoperta dei paradossi e – diciamo pure – del ridicolo che ormai sono sempre più caratteristici della vita italiana. Il ritorno in pista dell’eremita di Arcore – inatteso solo per chi scambiava per analisi politica realista i propri desideri – ha un significato evidente: il bisogno della destra di fermare quella che ormai appariva come una vittoria inevitabile del centro-sinistra (leggi Bersani) se Monti fosse rimasto in panchina. Non contrasta con questo il fatto che il revenant, dopo aver detto peste e corna di Monti, abbia dichiarato l’intenzione di ritirarsi qualora Monti decidesse di presentarsi. Berlusconi, infatti, visto che l’Italia è quella che è, potrebbe ancora avere qualche probabilità contro Bersani, ma certamente nessuna contro Monti. Quest’ultimo, infatti, impersona una destra seria che certamente raccoglierebbe molti voti anche fra quella parte dell’elettorato che in passato, in preda alla sua idiosincrasia per qualsiasi, anche più che tenue, sfumatura di rosso, ha votato per Berlusconi ma, appunto perché formata da ben pensanti, non ha particolarmente apprezzato gli aspetti più sboccati del berlusconismo.

Adesso salta fuori la storia che Monti non potrebbe essere candidato alla presidenza del consiglio perché è senatore a vita. “Ma sapete che questa l’è s’ceffa!” avrebbe detto Vespasiano Bignami (grande poeta oggi dimenticato). L’essere senatore a vita non gli ha impedito di essere presidente del consiglio ma gli impedirebbe di concorrere per diventarlo! Siamo alla follia pura, o meglio lo saremmo se tutto questo non derivasse dall’idea perversa di voler instaurare una certa prassi in un quadro istituzionale che è stato costruito su altri presupposti. I padri fondatori del 1948 hanno immaginato l’Italia come una Repubblica parlamentare, modello che si può anche criticare (io lo critico) ma che, finché c’è, non si può sfruttare per fini diversi. “Repubblica parlamentare” significa che l’esecutivo, in pratica, è espressione del legislativo. Il governo Monti, del quale qualcuno ha persino revocato in dubbio la legittimità perché Monti non sarebbe stato “scelto dal popolo”, è stato messo in carica con una procedura del tutto costituzionale: proposto dal presidente della Repubblica, votato con voto di fiducia dal Parlamento. Si dirà che molti di coloro che l’hanno votato ne avrebbero fatto volentieri a meno; sarà, ma questo riguarda loro, non Monti. Avevano tutto il diritto di sfiduciarlo, e appena hanno potuto lo hanno fatto. E lui si è dimesso. Non si può dire che non fosse “scelto dal popolo”. Semmai, vista la legge con la quale è stato eletto il Parlamento che prima gli ha dato fiducia e poi gliela ha negata, ci si può chiedere quanto “scelti dal popolo” siano quelli che hanno votato, per lui o contro di lui.

Adesso il problema sarebbe che Monti non potrebbe concorrere perché il suo nome non potrebbe essere scritto su una scheda. Infatti, si dice che il cittadino deve scegliere il presidente del Consiglio, ma in realtà vota per la sua elezione a parlamentare (e Monti lo è già). E questo è un altro pasticcio di una legge insensata. Naturalmente si può dire che il laticlavio per meriti speciali è un residuo archeologico dei tempi andati, un incrocio tra il senato di nomina regia e il Pritaneo di ateniese memoria. Per carità, certo che si può dire. Resta il fatto che, ora come ora, un senatore nominato dal presidente della Repubblica nell’ambito dei suoi poteri è un parlamentare come un altro e ha tutto il diritto di comportarsi come tale. Se l’Italia fosse una Repubblica presidenziale, presenterebbe la sua candidatura; se fosse eletto, farebbe il Presidente; se non lo fosse, tornerebbe al suo seggio in Senato. Se l’Italia fosse una Repubblica parlamentare seria, come l’avevano auspicata i padri fondatori, aspetterebbe l’esito delle elezioni e l’eventuale chiamata dal Quirinale, per poi sottoporsi al voto di fiducia del Parlamento. Ma l’Italia non è né l’una né l’altra. Un bel pasticcio, sul quale oltre tutto pesa il sospetto che la destra non abbia voluto modificare la legge elettorale proprio pensando che quella attuale avrebbe provocato più di un grattacapo ai fautori di Monti. Resta da sperare che, essendo l’Italia la madre del diritto (una madre fin troppo indulgente), il fertile ingegno di qualche giurista trovi il modo per giustificare che il cittadino, sulla stessa scheda, voti Monti come presidente del consiglio senza votarlo come deputato. In fondo siamo abituati a ben altre contorsioni.

La situazione è pesante anche per Bersani. Se entra in una logica “o la va o la spacca” gli conviene il confronto diretto con Berlusconi, dove per altro le chances sono fifty-fifty (non ci facciamo illusioni sui sondaggi) e dove le conseguenza di una sconfitta sarebbero disastrose per il paese, mentre anche la vittoria non vorrebbe dire che poi tutto andrebbe liscio. Se il confronto diretto fosse con Monti, Bersani avrebbe meno probabilità di vincere ma in ogni caso, sia che vincesse lui sia che vincesse Monti, nulla vieterebbe al loro rapporto di svolgersi successivamente secondo quei princìpi di lealtà della quale l’uno e l’altro hanno già dato prova e della quale il paese ha tanto bisogno. Infine, se Monti entrasse in campo ma Berlusconi non ne uscisse, la vittoria di Bersani sarebbe sicura ma Monti (e questo lui lo sa meglio di chiunque altro) si sarebbe speso solo per tirargli la volata. Io non dubito del suo patriottismo e la stima che ho per lui è enorme, ma non so se la sua abnegazione arriverebbe a tanto. Se ci arrivasse, avrebbe ampiamente meritato un busto al Pincio.

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