La farsa e la tragedia

La dichiarazione di Berlusconi che, se la giunta del Senato pronuncerà la sua decadenza da senatore, lui farà cadere il governo è stata variamente accolta, come manifestazione di tracotanza o come ritorsione legittima, a seconda dell’appartenenza politica di chi ha espresso il suo commento. Mi sembra, però, che si sia trascurato – o non sottolineato a sufficienza – un particolare importante: con questa dichiarazione l’interessato ha in sostanza dato ragione a coloro (me compreso) che fin da principio hanno sostenuto la tesi che l’interdizione dalla funzione parlamentare non impedisce ad un capo di partito di esercitare il suo potere nelle cose essenziali. Sessanta milioni di italiani che non sono mai stati interdetti dai pubblici uffici e persino la stragrande maggioranza dei parlamentari non ritengono infatti – e a ragione – di essere capaci di tanto. In pratica questa dichiarazione dovrebbe risolvere gli scrupoli di coloro che in queste ultime settimane si sono arrovellati intorno al problema della cosiddetta “agibilità” di Berlusconi: più “agibile” di così! Comunque la pensino, votino pure “d’un cœur léger” per la decadenza, tanto non cambierebbe nulla.
Per dovere di cronaca conviene anche menzionare che, prendendo spunto dalla contemporanea nomina presidenziale a senatori a vita di quattro italiani altamente meritevoli, nel Pdl si è levata qualche voce per suggerire che Napolitano avrebbe potuto risolvere con eleganza il problema dell’agibilità utilizzando tale sua facoltà anche a beneficio di Berlusconi. Questa proposta, non priva di un certo senso dell’umorismo, presenta però la difficoltà che la Costituzione prevede che tale scelta venga effettuata tra le persone che hanno illustrato il paese, e non fra quelle che lo hanno ridicolizzato. Si potrà dire che anche fare la caricatura dell’uomo di Stato richiede un certo talento artistico. Vero. Però in tal campo vi sarebbero comunque stati concorrenti temibili (per esempio, Crozza o Sabina Guzzanti sono più bravi di lui).
Si prova un certo imbarazzo a prestare attenzione a codeste buffonate italiche mentre a non molta distanza da noi si consumano autentiche tragedie. Purtuttavia non si può fare a meno di osservare che anche lì il ridicolo ha la sua parte, perché alla tragedia delle popolazioni coinvolte si affianca la farsa dell’Occidente, dell’ONU e delle cosiddette grandi potenze. In particolare meriterebbe di essere analizzato a fondo il comportamento degli Stati Uniti. Sembrerebbe, infatti, stando alle dichiarazioni del presidente e del suo segretario di Stato, che l’intenzione degli Stati Uniti non sia di intervenire contro il regime di Assad ma solo di “punirlo” per certi suoi comportamenti (diciamo l’uso dei gas nervini). Questa distinzione è molto sottile. Infatti, delle due l’una: o l’eventuale intervento di aerei e/o missili su installazioni militari di Assad indebolirebbe le sue capacità belliche, e in tal caso sarebbe difficile sostenere che tale intervento sia “neutrale” rispetto allo svolgimento e all’esito del conflitto, oppure l’eventuale distruzione delle installazioni oggetto dell’attacco sarebbe effettivamente ininfluente sull’equilibrio delle forze in campo, e allora darebbe solo ad Assad un pretesto in più per fare la vittima senza averci rimesso molto.
Anche la motivazione per l’intervento sembra degna di riflessione. Infatti, l’insistenza sull’uso dei gas nervini sembra affermare che la colpa di Assad (o dei militari che da lui dipendono) non sia tanto di aver ammazzato qualche centinaio di bambini (e almeno altrettanti adulti) ma di averli ammazzati con i gas, il che lascia adito al sospetto che se, per esempio, li avessero ammazzati a colpi di baionetta tutto sarebbe in regola. L’atteggiamento dell’ONU, del resto, è perfettamente speculare: non discutiamo il fatto che i bambini siano morti, ma vogliamo vederci chiaro su “come” sono stati ammazzati. Si dirà che esistono convenzioni internazionali contro l’uso di certi modi di uccidere mentre non ne esistono contro il fatto in sé di uccidersi, specialmente se questo avviene all’interno dei singoli Stati, la cui sovranità è intoccabile a meno che non abbiano sovranamente deciso in modo diverso. Sarà. Però ricordo che fino a non molti anni fa si parlava, almeno, di “intervento umanitario”, formula che certamente ha dato luogo ad abusi innominabili ma che almeno, in astratto, tirava in ballo princìpi in sé meritevoli di attenzione. Oggi sembra che la pretesa (il dovere, secondo loro) degli Stati Uniti (e probabilmente anche di altri, che non hanno nemmeno il merito di parlare apertamente) sia di atteggiarsi come l’arbitro di una competizione sportiva, il cui compito non è di fermare la partita (ci mancherebbe altro, il pubblico ha pagato per vedere) ma di fare in modo che essa si svolga secondo le regole, fischiando i falli ed esibendo il cartellino giallo. Calcio di punizione e via. Lo spettacolo deve continuare. (a.g.)

31 agosto 2013

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