La politica

1. La politica coinvolge ciascun uomo. Sollecita la persona a un continuo rinnovarsi, condizione ineliminabile cui obbliga l’impegno con la vita e la contemporaneità. Ognuno di noi è chiamato a vigilare sulla comune convivenza, soprattutto verso gli oppressi, gli ammalati, le persone stanche e disanimate, verso coloro che forse attendono proprio le nostre azioni, i nostri gesti, le nostre parole per rimettersi in marcia.
Il primo aspetto di un impegno politico è proprio questo: prendere coscienza del nostro normale e colpevole disinteresse alla vita comune e non cadere nella tremenda tentazione della saccenza e dell’autoreferenzialità, che impediscono di andare a cercare, scoprire e far emergere quella realtà di fraternità nascosta nel cuore dell’uomo e nel cuore della storia. Sono molte le abitudini, le manipolazioni, le violenze, i condizionamenti da cui dobbiamo liberarci. Siamo immersi in un mondo che, sì, si sviluppa, ma che fa anche sperimentare un declino: si vive in una terra quasi straniera e ostile, dominati da uno spaesamento sempre più terribile.

2. La politica, come la si può osservare nei nostri tempi e, così come è attuata oggi, si sta affermando non solo come un regime di “tirannia della maggioranza”, ma addirittura – indipendentemente da chi governa – come una dittatura di cui siamo inconsapevoli, una gabbia di ferro in cui siamo costretti da istituzioni e strutture che limitano pesantemente le nostre scelte, sia sociali che individuali. Questo modo di fare politica è il contrario di ciò che dovrebbe essere, perchè spinge ognuno a chiudersi sempre più in se stesso e a non partecipare attivamente alla cosa pubblica. Siamo indotti a una vita che contraddice la naturale relazione tra le persone facendo diventare preferibile starsene per i fatti propri a godere le soddisfazioni della vita privata, così incoraggiata dalla larga distribuzione di mezzi e finchè tali illusori mezzi potranno durare.

3. Ma una politica che porta all’individualismo può solo generare leggi e comportamenti ingiusti perché smette di essere costruzione e difesa di realtà comunitarie, sociali, culturali e, in una parola, umane.
Come queste, allora, possono (e devono, se vogliamo restare uomini) sopravvivere all’interno del cinismo tecnocratico, giuridico e militaresco che le società dello “sviluppo” (sempre più oggetto di proclami che di realtà tangibili) stanno imponendo?
Innanzitutto prendendo coscienza che la voluta frammentazione (volto nuovo del “divide et impera”), operata con strumenti potenti, rende persone, gruppi, realtà sociali, sempre più incapaci di darsi finalità comuni da realizzare. Al massimo ci si intruppa in associazioni che presto vengono poi abbandonate, proprio a causa della loro insoddisfacente parzialità, e si preferisce gettare la spugna, difendendo solo se stessi e considerando la responsabilità politica come un’utopia. In tale direzione va anche la decisione di non andare a votare.

4. La frammentazione dell’uomo è criterio sia di chi propugna interessi e cause particolari, sia di chi utilizza strumentalmente mosse giudiziarie e legali: in entrambi i casi si distorce la Costituzione e non si propone un nuovo disegno unitario, civile e costituzionale, e ciascun gruppo o partito mira solo a propri progetti o diritti, senza cioè alzare lo sguardo alle conseguenze nefande sul “bene comune”. Il risultato è la conseguente cittadinanza mediatica e elettorale delle auto-promozioni, delle dichiarazioni fatte sul predellino del momento, delle promesse incredibili, presto cinicamente dimenticate.
La politica, oggi, anziché unire, separa e, per comodità, separa in molte, apparentemente opposte, fazioni.
L’idea nobile di politica degrada in un dispotismo più o meno morbido: attraverso l’eldorado del benessere promesso dal mercato (che già mostra i propri drammatici limiti causati dalle nefandezze della finanza), lo Stato burocratico indebolisce l’iniziativa democratica e pluralista per sostituire la responsabile iniziativa delle persone con un proprio immenso potere tutelare qualunque governo esso si dia.

5. Dove, dunque, trovare realtà umane, sociali e politiche capaci di agire per un principio superiore e non per interesse particolaristico?
Dove rinvenire quel rinascimento personalista e comunitario capace di combattere l’individualismo parassita?
Occorre innanzitutto una resistenza culturale che contesti questo tempo morbidamente (ormai non tanto, visto il moltiplicarsi di ingiustizie in tutti i settori) illiberale.
Siamo realisti e guardiamo al taciuto positivo che c’è: abbiamo la testimonianza di persone e aggregazioni che vivono la politica come servizio alla giusta convivenza e al giusto progresso umani, persone e aggregazioni che nell’azione politica sono antagoniste alla strumentalizzazione e allo spezzettamento dei bisogni generati dal mercato, dalla finanza e dallo Stato burocratico.
Per indicarli, i media usano il termine “disobbedienti”, facendo così di ogni erba un fascio. Esistono invece realtà comunitarie e umane che, al loro interno, sperimentano un tipo di vita e di rapporti diverso e nuovo rispetto a quello che fronteggiano. Il loro disaccordo è sulla tecnocrazia e sulla burocrazia degli Stati, sulle condizioni poste dai mercati e dall’economia, su quelle imposizioni che portano a scelte contrarie all’umanità e al bene di tutto un popolo. Guardare a tali realtà è la vera azione sociale e politica da mettere in campo.

6. C’è dunque molta miseria, ma c’è anche molta grandezza. In questo miscuglio di pericolo e di possibilità positiva sta la bellezza di un impegno, che sarà forse lungo e che deve avere molti livelli di lotta (intellettuale, spirituale, politica) per potenziare la democrazia vera.
A ciò Pane Pace Lavoro vuole collaborare, assumendosi la responsabilità di attuare una sia pur piccola azione di resistenza.

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