Strategia del ragno

L’uscita di scena del presidente Enrico Letta, non inattesa ma non in tempi così brevi, suscita diversi interrogativi. Il primo: qual è la bestia immonda – o il meccanismo infernale – che in pochi mesi ha inghiottito politici di prestigio e consumata esperienza come Romano Prodi, Gianluigi Bersani e ora Enrico Letta? Non si può ridurre tutto alle ambizioni personali. Ovviamente ci sono,  ci sono sempre state e sempre ci saranno, ma i meccanismi di ingegneria costituzionale e di scienza politica sono stati studiati e perfezionati nel corso degli anni proprio affinché le ambizioni personali legittime siano volte al bene pubblico e quelle dannose siano neutralizzate. Ora la prima cosa che si presenta alla nostra osservazione è lo spettacolo di evidente sfacelo delle nostre istituzioni. Secondo la Costituzione del 1948 (mai abolita formalmente) l’Italia è una repubblica parlamentare. Può anche non piacere (a me non piace molto) ma, finché non si cambia la Costituzione, dobbiamo sentirci tenuti a crederlo. Ebbene, siamo arrivati al punto che il presidente del Consiglio viene detronizzato da una specie di congiura di palazzo e che tutto l’establishment politico – compreso il presidente della Repubblica – ritiene una perdita di tempo il voto del Parlamento, valutandolo – del resto a ragion veduta – una semplice liturgia senza effetti pratici. Attenzione: mi guardo bene dal giudicare illegittimo o arbitrario il comportamento del presidente. La sua non è una decisione: è una semplice constatazione, un atto di buon senso. Ma è proprio questo che mi preoccupa. Se il Parlamento non vale niente – e pare proprio che sia così – in quale razza di regime stiamo vivendo?

Si dirà che è sempre stato così, che quasi tutte le frequentissime crisi di governo della prima repubblica sono state di nome o di fatto crisi extraparlamentari e che la maggior parte di loro è stata provocata da divisioni interne del partito di maggioranza. Benissimo. Historia magistra vitae. Ma allora che senso hanno tutti i discorsi di anatema del proporzionale e di esaltazione del maggioritario, dall’esito dei quali sembra dipenda il destino della Patria? Letta, per quanto ne sappiamo, godeva di una maggioranza parlamentare più che confortevole, che evidentemente è stata dissolta in un fiat dalla direzione del PD. Del resto, che il vero potere sia fuori del Parlamento si vede anche dal fatto che il presidente Napolitano riceva, per consultarsi con lui, Berlusconi e non, per esempio, il capo del gruppo parlamentare che a lui fa riferimento. Anche questa è una questione di buon senso e legittimo desiderio di non perdere tempo in sterili rituali? Certamente. Ma anche il segno che qualcosa non quadra.

La seconda domanda è: ma che razza di partito è questo PD che divora i suoi leader con una velocità da fare invidia ai giacobini del Terrore? Non colpisce che Renzi sia stato eletto, ma che abbia avuto il 90 per cento dei voti della direzione di un partito che ha sempre avuto come tradizione principale quella della divisione. Non dimentichiamo, per altro, che sembrava compatto anche quando fece mancare a Prodi i voti necessari per la sua elezione a presidente della Repubblica. I colpi che si scambiavano nella DC ai tempi dei dorotei e dei morotei sembrano, in confronto, giochi da educande.

Tutto questo, naturalmente, porta ad una terza e più fondamentale domanda: ma in definitiva chi comanda veramente? Non mi sembra abbia molto senso tirar fuori i nomi di magnati dell’industria e della finanza. Se per regnare bastassero i soldi, Berlusconi non avrebbe mai avuto le traversie che lo hanno colpito. In ogni modo, chiunque siano queste persone, si aspettano veramente che Renzi possa fare qualcosa (qualcosa di positivo, ovviamente) più di quanto non stesse facendo Letta? La storia che saremmo usciti dalla crisi perché il Pil ha avuto un incremento dello 0,1 per cento fa ridere; però altri segnali sembrano più interessanti.  In definitiva, per rilanciare la produzione e l’occupazione ci vogliono moltissimi soldi e, poiché la povera vacca Italia è stata munta fino a comprometterne la sopravvivenza, e visto anche il livello del nostro indebitamento, tali soldi possono arrivare solo da altre fonti, che sono gli investimenti dall’estero e le eccedenze nella bilancia dei pagamenti. È evidente che i primi postulano una fiducia granitica nell’euro, e perciò chi lavori in senso opposto (direttamente o indirettamente) ne mette gravemente a rischio la fattibilità. Quanto alle seconde, che in fondo sarebbero la soluzione migliore, l’aumento delle esportazioni (purtroppo immagine speculare della contrazione dei consumi interni) è in questo momento l’unico segnale veramente positivo che presenti la nostra economia. Positivo non solo in termini contabili ma anche nel senso che dimostra una certa capacità del sistema di reagire spontaneamente con soluzioni giuste secondo i sacri princìpi dell’economia liberale, cosa che, vista l’aria che tira nelle alte sfere di Eurolandia, dovrebbe rafforzare le simpatie dei nostri partners e la loro fiducia nel nostro paese (posto che l’euro li mette al riparo dalla concorrenza sleale che potrebbe essere posta in atto da svalutazioni competitive). Più importante ancora che disporre di soldi, però, è spenderli bene. Qui le vie sono due: o disperderli nei mille rivoli di un’economia affetta da molto sprechi (in pratica rimettere in piedi quella che c’è) o concentrarli in imprese di interesse nazionale come, per esempio, la difesa del territorio, che aprirebbe ampie prospettive all’occupazione e, fra l’altro, è prima di tutto un’esigenza morale, perché il suo primo scopo sarebbe di salvare vite umane e proprietà private alle quali le varie catastrofi costano certamente più dell’IMU, ma che richiederebbe grandissimi investimenti a redditività necessariamente differita, e quindi fa perno più che mai sui requisiti della fiducia e della credibilità politica. Con il suo profilo basso, il suo modo modesto e prudente, Letta non avrà fatto miracoli, ma era riuscito a compiere parecchi passi avanti nel duro cammino di riacquistarle. Era proprio il caso di toglierlo di mezzo proprio ora? (a.g.)

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