Un giudizio sul referendum

Dal referendum e dalle elezioni dello scorso fine settimana esce un solo sconfitto: la politica, segno sia che la sfiducia per il Parlamento e per il sistema di governo è diventata ormai cronica, sia che da parte dei politici non vi è più un riferimento ad ideali sui quali costruire una proposta.

Il referendum ha dimostrato chiaramente che la deleteria campagna portata avanti dai Cinque Stelle negli ultimi anni contro tutto ciò che è politica, si è ormai radicata nel popolo italiano.

Bisogna ammetterlo, ha vinto il “sì” non perché la gente ritenesse che così avremo un Parlamento che potrà lavorare meglio, ma perché le persone ritengono che attualmente il Parlamento sia un male tutto italiano e che quindi vada sfasciato, vada stravolto. Ribadiamolo ancora: ha vinto l’idea che per governare in fin dei conti il Parlamento è un intralcio.

La vittoria del “sì”, però, purtroppo, genera un rischio ancora più grande di quello di avere dei parlamentari incapaci, ovvero quello di non avere più la possibilità di avere un Parlamento democratico o comunque espressione di tutta la pluralità della nostra società. Questa è la questione molto grave che molti politici hanno taciuto durante la campagna elettorale.

Allo stesso tempo le elezioni regionali hanno dimostrato l’inconsistenza degli ideali di questa classe politica. Sia a destra che a sinistra hanno vinto più i personalismi che le idee, hanno vinto i leader forti che, trasudanti populismo, sanno, attraverso i media, conquistare la gente, purtroppo più con gli slogan che con un pensiero politico.

Insieme alla politica, poi, ha perso la democrazia: ora sarà ancora più facile per i grandi partiti eliminare tutte le altre esperienze presenti sul territorio; è stato fatto un passo in più verso l’oligarchia.

Non possiamo però darci per vinti, la prossima battaglia quindi, da iniziare subito, sarà quella per una legge elettorale che, almeno in parte, possa riequilibrare lo squilibrio generato dal taglio dei parlamentari. Dovremo chiedere, ad esempio, uno sbarramento minore di quel 5% di cui ora parlano, come dovremo pure chiedere il reinserimento delle preferenze e l’abolizione dei listini bloccati; dovremo chiedere, insomma, a gran voce, di poter contare ancora qualcosa nella scelta dei politici e quindi di essere di nuovo rappresentati da questi.

La questione infatti non è tanto che il male dell’Italia siano i politici, ma come quei politici vengano scelti e allora dovremo lottare per ribadire che, contrariamente a quanto sembrano pensare (o forse temono) i capi di partito, il popolo è in grado di scegliere i propri rappresentanti.

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