La sofferenza, l’ingiustizia, l’idiozia della guerra ci riportano, ancora una volta, in piazza. I massacri egiziani, siriani e le tensioni tra Libano ed Israele ci interpellano prepotentemente nella nostra condizione di spettatori sulle sicure, per ora, gradinate europee. I morti di questi giorni e degli ultimi anni ci interpellano direttamente come popolo colonizzatore, sfruttatore e collaboratore delle egemonie di incontrastate superpotenze.
Non vogliamo assistere a questo massacro, all’inettitudine degli organismi internazionali, all’agghiacciante menefreghismo dei media italiani (che pongono queste situazioni sempre in coda alle falsità dei meeting politici) , senza gridare la nostra ribellione a questo sistema economico e militare che ci avvolge nelle sue spire.
Che cosa è giusto fare? Cosa possiamo noi, gente comune?
• Possiamo gridare, da ogni Paese, ai nostri governanti che la nostra sorte, la nostra sofferenza non sono a disposizione e che si occupino del nostro bene, di quello degli uomini tutti che viviamo questa nostra unica terra, e non di affermare un nuovo imperatore.
• Possiamo risvegliare una coscienza di uomini liberi che non restano spettatori inetti degli “imbrogli” che ci propinano. Dobbiamo farlo perché le immani sofferenze dei popoli e dei singoli devono interpellarci e farci ribellare all’ingiustizia.
• Possiamo uscire dall’indifferenza idiota verso la miseria e la violenza che si diffondono, mentre la finanza guadagna sul crescere della disoccupazione. Dobbiamo farlo, in modo tale che le distruzioni, i saccheggi e i massacri di cui siamo sempre più spettatori non determinino il nuovo “impero” globale in cui ci stanno trascinando.
• Possiamo difendere con il voto non i privilegi, ma la democrazia fatta da opere, iniziative economiche, azioni di resistenza solidale per non sentirci coinvolti nel chiamare pace il tranquillo soddisfatto deserto del cinismo umano, politico ed economico che si prospetta all’orizzonte.
• Chiedere al parlamento di non rifinanziare le missioni italiane all’estero.
Pane Pace Lavoro rivolge ai singoli, ai politici, alle Istituzioni nazionali e internazionali, la richiesta di compromettersi perché nasca il frutto nuovo e tanto desiderato della fraternità portatrice della vera pace.
Pane Pace Lavoro grida: mai più la guerra. La pace ora, la pace rapidamente per cominciare immediatamente la ricostruzione dell’umano.
Pane Pace lavoro 27 agosto 2013
Bravi! Auguro alla manifestazione il massimo successo. Ma sopattutto mi auguro che in situazioni del genere si usi il cervello e non l’ossequio ai luohi comuni che tante volte ci hanno già portato al disastro. Di nuovo grazie per il vostro impegno.