L’esperienza di questi mesi di pandemia e con essa di grande dolore e di dramma per molte persone e famiglie provate dalla malattia, dalla perdita di lavoro, dalla lontananza e da numerosi altri drammi umani ci deve interrogare profondamente come persone e come società.
Davanti ad una situazione imprevista e sconvolgente, ci siamo trovati impreparati; la struttura sociale che avevamo creato ha mostrato la sua impotenza e tutte le sue lacune.
Il Covid ci ha forzatamente messi davanti ad una semplice verità: nessuno (nessun uomo, nessuna regione, nessuna nazione, nessuna società) può più pensare solo a sé o meglio nessuno può più pensare di bastare a sé stesso.
Le teorie di coloro i quali, in tutto il mondo compresa l’Italia, negli ultimi anni hanno costruito la loro carriera politica sulla divisione e sulla chiusura dei confini, propagandando la loro supremazia morale ed umana di alcuni uomini sugli altri, sono state apertamente sconfessate ed insieme ad esse anche i loro artefici: anche loro in questo periodo hanno avuto bisogno degli altri: dei medici, degli infermieri, degli operatori sanitari, di tutte quelle persone che ogni giorno con la loro opera hanno permesso di contenere la pandemia, dei volontari e delle tanto bistrattate ong, dei tanti stranieri che si sono presi cura degli anziani, degli ammalati e dei più bisognosi. Tanti ancora potrebbero essere gli esempi che potremmo qui aggiungere e tanti potrebbero aiutarci a riflettere su una semplice verità e cioè che anche prima del Covid le società che funzionavano meglio (o comunque gli aspetti della società che corrispondevano immediatamente a ciascuno di noi) erano quelli in cui la logica non era il profitto ma il bene comune.
Fino a quando vivevamo nella bambagia tutte queste teorie di divisione avevano facile presa sulle persone: più si ha e più si vorrebbe, anche se questo significa chiudersi in sé stessi, un lockdown della mente e della propria azione che non lascia spazio a nessuno.
Per ricominciare, per ricostruire la società, dovremo partire, politicamente e socialmente, dall’opposto di tutte queste teorie malsane e nefaste, dovremo partire dal fare spazio all’altro, dovremo avere il coraggio di costruire una società non chiusa in sé stessa, non autoreferenziale né che pensi di bastare a sé.
Dovremo avere il coraggio di agire per il bene, che non significa limitarsi a non fare il male, ma agire per il bene anche quando questo implica di sacrificare un poco di quello che io ho e che sono, per includere in questo bene tutta l’umanità.
Questo è l’augurio di Pane Pace Lavoro per il 2021: che il nuovo anno ci ritrovi tutti impegnati insieme in questa azione di bene per l’umanità intera.
Pane Pace Lavoro, 30 dicembre 2020
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