Certezza è ricchezza

Le urla di indignazione che si sono levate da alcune parti alla notizia che i beneficiari degli 80 euro non si sono affrettati a spendere subito quella generosa elargizione farebbero solo ridere, se ce ne fosse ancora rimasta la voglia. Ma chi pensiamo che siano gli italiani? Sembra di essere ritornati ai tempi (non poi tanto lontani: circa mezzo secolo fa) quando non pochi sostenevano che non si poteva dare la settimana corta ai bancari, perché le aziende che lavoravano il sabato non avrebbero potuto fare le paghe. E perché? Perché, se avessero dato i soldi il venerdì sera, gli operai sarebbero corsi subito ad ubriacarsi e quindi non si sarebbero presentati al lavoro la mattina dopo, non avendo in mezzo il giorno di festa per smaltire la sbornia. Sic!

In realtà, padri di famiglia coscienziosi e abituati a fare i conti, se si trovano improvvisamente in tasca qualche soldo in più, non si precipitano a spenderli ma, come minimo, riflettono un momento su quale potrebbe essere la spesa migliore. Se poi succede che fuori c’è aria di crisi, non è difficile che arrivino alla conclusione che per il momento l’uso migliore è di non spenderli del tutto, non aspettandosi niente di buono dal prossimo futuro. Ohibò! Ma allora l’homo oeconomicus? Appunto: è un uomo, non una macchina a gettone, con buona pace degli econometrici. Del resto, la disputa tra chi considera l’economia come un mero gioco meccanico di forze e chi tra quelle forze inserisce anche il giudizio e la volontà degli uomini dura da almeno duecento anni, e non è che oggi ne sappiamo molto più di allora; solo che oggi qualcuno si dà da fare per convincerci che dobbiamo far finta di niente, e se i fatti non collimano, tanto peggio per i fatti.

Ovviamente, non occorre essere premi Nobel per sapere che, se nessuno compra, l’economia si ferma. Veramente, una volta (neanche poi tanto tempo fa) c’era qualcuno che sosteneva che i soldi che non vanno in consumi vanno a finanziare gli investimenti, e che anche questi rilanciano l’economia, ma si tratta di teorie antiquate. Oggi sappiamo che gli investimenti si finanziano con i debiti, non con il risparmio delle famiglie, e che le famiglie devono solo pensare a consumare, con la testa nella mangiatoia, quello che gli passa il padrone, e guai se sgarrano o si mettono in testa idee balzane come quella di decidere loro che cosa fare con i loro soldi.

 Però oggi il punto fondamentale è un altro, ed è che niente quanto l’incertezza serve a contrarre i consumi. Persino nella famigerata inflazione tedesca del 1922 – quando il denaro non valeva praticamente niente – si notò che c’erano persone che risparmiavano, perché il timore per il futuro prevaleva su qualsiasi considerazione sensata. Non è la quantità di denaro al momento disponibile che incide sulle decisioni d’acquisto, ma la possibilità di prevedere ragionevolmente il futuro, a maggior ragione quando si tratta di impegnarsi – per esempio per l’acquisto di una casa. Come posso pensare di impegnarmi per cinque, dieci, quindici anni, se non so nemmeno se l’anno prossimo avrò ancora un lavoro e uno stipendio? Sarà uno stipendio modesto ma sul quale potrò contare? Farò il passo secondo la lunghezza della gamba. Invece, se le gambe me le tagliano, non farò proprio niente.

Un’ultima cosa: mutatis mutandis, quanto detto per le famiglie vale anche per le imprese. Che cosa credete che conti di più per un imprenditore: una riduzione di mezzo punto nel costo del denaro o la sensazione di un risveglio del mercato? Nessuno produce quello che pensa di non poter vendere. Quando F.D. Roosevelt si accinse al compito immane di rilanciare l’economia degli Stati Uniti in mezzo ad una crisi che era ormai al quarto anno e in confronto alla quale quello che succede oggi sono rose e fiori, lanciò una sola parola d’ordine: FIDUCIA! Però, evidentemente, riusciva a dirla in modo da farsi prendere sul serio. Sembra un particolare di scarso rilievo, ma la differenza sta tutta lì. (a.g.)

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