La Corte di Cassazione ha fissato al 30 luglio l’udienza relativa al caso Mediaset, con la quale il senatore Berlusconi rischia l’interdizione dai pubblici uffici. Che la cosa possa dispiacere all’imputato, è più che comprensibile. Che dispiaccia al suo difensore, si può ammettere. Non è invece in alcun modo ammissibile che osservatori che si pretendono indipendenti e solo preoccupati per il bene della patria trovino la decisione inopportuna a causa delle sue possibili conseguenze politiche. Una volta si diceva “fiat iustitia pereat mundus”. Altri tempi. Conviene però sottolineare che il presidente Letta (che alle possibili conseguenze politiche è ovviamente il più diretto interessato) abbia dignitosamente detto due cose: che non teme per la solidità del governo e che, in ogni caso, lui non ha alcuna competenza per interferire in una questione che è di competenza della magistratura. Per quanto riguarda la prima, speriamo che abbia ragione, e in ogni caso il suo atteggiamento rientra nell’ovvia precauzione di non fasciarsi la testa prima di averla rotta. Per quanto riguarda la seconda, c’è solo da rallegrarsi per il fatto che il Paese abbia in una posizione come la sua un uomo politico che ricorda con tanta precisione ciò che la dottrina corrente sembrava avere da un pezzo dimenticato, ossia che in uno stato di diritto parrebbe esistere una certa divisione dei poteri. Montesquieu lo aveva detto due secoli e mezzo fa, ma evidentemente il passar del tempo non aiuta la memoria.
Già la Costituzione italiana, in quanto ipotizza una repubblica parlamentare, non è proprio un capolavoro per quanto riguarda la divisione dei poteri; però sul fatto che la magistratura debba essere indipendente dall’esecutivo non presta il fianco a critiche, mentre in questa circostanza qualcuno non ha esitato ad auspicare addirittura un intervento del presidente della Repubblica, il quale avrebbe dovuto (secondo loro) intervenire come capo della magistratura per imporle una decisione che egli stesso avrebbe dovuto trovare opportuna come capo dello Stato. Per fortuna della patria, il presidente ha dimostrato una volta di più di avere abbastanza senso dello Stato da superare la cosiddetta ragion di Stato. Sia lode a lui. Però non si può non avvertire l’odore di aspirazione alla dittatura che si leva da iniziative di questo tipo, sia nel senso strettamente giuridico, con il continuo tentativo di forzare il Capo dello Stato attualmente in carica a compiere atti forse non decisamente anticostituzionali ma certamente molto vicini al limite, lasciandoci in ultima analisi debitori solo della sua saggezza, sia nel senso politico che gli atti in questione vengono sollecitati a favore di un cittadino al quale verrebbe riconosciuta una specie di immunità derivante dal largo seguito del quale gode, con una specie di estensione surrettizia del concetto di sovranità popolare.
A proposito di immunità, può valer la pena di chiarire che l’immunità parlamentare è stata inventata dalla Terza Repubblica francese (1870-1940), con la giustificazione che allora il Pubblico ministero dipendeva dal ministro della Giustizia. In Italia (la Dieu merci) la magistratura – anche quella inquirente – è indipendente dall’esecutivo, e inoltre è tenuta all’obbligatorietà dell’azione penale, di modo che non si vede come l’immunità parlamentare si giustifichi. Però nel caso di Berlusconi, non siamo nemmeno di fronte ad un attacco di ipergarantismo che alcuni cittadini provano nei confronti di un altro cittadino che essi ritengono ingiustamente perseguitato. Ce ne sono, certamente, e i loro sentimenti sono legittimi, anche se non mi sembrano convincenti. Non è con loro che me la prendo, perché, per quanto il loro comportamento nella fattispecie non mi sembri giustificato, il principio che li muove rientra nel concetto di una democrazia liberale. Non si può dire la stessa cosa di coloro che, atteggiandosi a custodi della Ragion di Stato e in nome di una supposta salute pubblica, non dicono che Berlusconi è innocente (tesi sostenibile fino a sentenza definitiva) ma che sarebbe intoccabile anche se fosse colpevole perché una sua eventuale condanna avrebbe effetti negativi sulla tenuta del governo, l’ordine pubblico e così via. Oppure (il che non è poi tanto diverso) perché un numero ancora abbastanza alto di elettori crede in lui. E qui l’aspirazione alla dittatura si unisce alla demagogia, miscela altamente tossica della quale, come si sa, sono morte molte nazioni. (a.g.)
Be the first to comment on "Montesquieu: chi era costui?"